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Vieni, Spirito, dal Cielo

Ci avviamo verso la grande festa della PENTECOSTE, nella quale culmina il tempo pasquale.
Lo Spirito Santo: non lo “sentiamo” ed è difficile parlarne; la Sua azione in noi è stata riassunta con efficacia così: Egli è “il Dio invisibile, che ci rende visibile Dio”.
E’ a causa Sua che “vediamo Dio” nella luce della fede; è a causa dello Spirito che già ora viviamo la vita del Figlio Gesù e che un giorno, ultimata la nostra conversione, potremo ritrovarci con Lui fra le braccia del Padre e ciò costituirà la nostra gioia eterna.

Di norma non lo “sentiamo”, lo Spirito, perché è nel profondo della nostra anima per trasformarla. Ma Lo avvertiamo in noi, nel cuore e nella coscienza, ogni volta che Gli opponiamo resistenza: il che avviene quando non ci lasciamo plasmare (“potare”), per diventare maggior-mente conformi al Figlio.
Poiché per questo lo Spirito ci è stato dato. E per questo, cioè per rigenerarci ad immagine del Figlio, Egli dev’essere dentro e fuori di noi come fuoco, acqua e vento, cioè indomabile e imprevedibile, delicato e impetuoso, tenero e irremovibile, per coglierci là dove siamo come singoli e come Chiesa e riportarci sulla Via.
Dentro il genere umano, soltanto in Maria lo Spirito ormai riposa, poiché in Lei l’opera di santificazione è ultimata; ed è alla Sua materna intercessione, che da quest’anno ci affidiamo anche come Chiesa, per imparare a vivere nello Spirito.

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I sacramenti, dono pasquale

Il tempo pasquale è il tempo dei sacramenti, che sono i doni di grazia, mediante i quali la vittoria di Gesù risorto sul peccato e sulla morte ci coinvolge nell’anima.

E’ significativo che l’iniziazione degli adulti venga celebrata ordinariamente  dal Vescovo nella Veglia pasquale: al memoriale del passaggio di Cristo dalla morte alla vita corrisponde la risurrezione spirituale del catecumento, che mediante il battesimo, l’unzione cri-smale e l’Eucaristia viene reso capace di vivere secondo il principio nuovo e soprannaturale della Fede.

Cristo risorto, che vive nella Chiesa, conferisce ad essa il potere di compiere il grande miracolo della nostra rigenerazione, sul quale fondiamo la speranza di una vita eterna ed eternamente beata.

Nella prassi attuale i tre sacramenti dell’iniziazione vengono conferiti in età diverse: il battesimo prima del-l’età cosciente, l’Eucaristia a bimbi ancora prossimi all’età dell’innocenza, secondo il desiderio di san Pio X, che la luce della grazia penetri in un’anima prima di qualsiasi macchia di peccato; la Cresima fino a poco fa veniva amministrata all’inizio dell’adolescenza.

Quello che conta è comprendere l’unitarietà dei sacra-menti: sono sì tre interventi distinti nel modo e nel tempo della celebrazione, ma hanno tutti origine da un’unica fonte, che è l’amore gratuito e preveniente del Padre; e tutti hanno di mira lo stesso fine, cioè di trasformarci intimamente e sostanzialmente ad immagine e somi-glianza del Figlio unigenito Gesù Cristo.

Siamo aiutati a cogliere l’essenza unitaria della vita sacramentale soprattutto pensando all’Eucaristia: cos’a-ltro vuole il Padre, se non che il suo Figlio, l’Unigenito in cui Egli si compiace, viva in noi e noi in lui?

In questa semplice volontà è racchiuso tutto.  Questa è la semplice via da seguire, in tempo di quaresima e di pasqua.

Anche per i non credenti o per i diversamente credenti è questa la via. Cristo infatti è morto per tutti e per tutti è risorto, ed ora sta davanti alla coscienza di ciascun membro della grande famiglia umana, anche dei tanti, che lo conosceranno soltanto in Cielo.

Chiunque preferirà il bene, la giustizia, la verità, la pace, la bontà, la misericordia, dimostrando di amare Cristo anche senza conoscerlo, troverà spalancate le braccia del Padre: “Vieni, servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo signore.” (cf. Mt 25,21).

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Croce da abbracciare, non da subire

In questi giorni mi pare importante richiamare il signifi-cato cristiano della “croce”.
“Che croce pesante ha da portare quella persona!” – siamo soliti dire, quando qualche conoscente è colpito da malattia o da qualche malanno…

In realtà i malanni esterni non sono ancora “croce cristiana”: lo diventano nel momento in cui “li scelgo”, cioè “li accolgo come volontà di Dio”, fino ad … amarli!
Penso che questo intendesse Gesù, quando, rivolgendosi a tutti, ha dichiarato:  “Chi non prende la propria croce e non mi segue,  non è degno di Me” (Mt 10,38).
Qui non si tratta di subire, ma di “prendere” la croce sulle spalle, attivamente.
In fondo è la logica stessa della vita battesimale: “Rinunci al Maligno…?” “Rinuncio!” – anche quando mi va tutto bene…  “Credi in Dio?” “Credo!” – anche quando le cose vanno storte…

Riferito alla situazione attuale: la pandemia non ci convertirà, se non lo vogliamo!  Se invece siamo bene disposti rispetto alla conversione del cuore, allora vale per noi il detto: “un bravo allievo trova sempre un bravo maestro”!


Se la quotidianità ordinaria offre molte scappatoie, in queste settimane c’è più tempo di … guardarsi negli occhi.  Gli sposi possono profittare di questo tempo per purificare e rinsaldare il loro rapporto, proprio quando la tentazione di “aprire le finestre e far entrare aria fresca nella propria vita” si fa sentire più forte.
Chi vive con fede il vincolo nuziale ha accettato di compiere un cammino di santificazione: la vocazione degli sposi cristiani consiste nel diventare l’uno per l’altra niente di meno che trasparenza dell’amore stesso di Cristo.
Il che comporta l’umiltà di rimettersi continuamente in gioco e soprattutto di attingere incessantemente orienta-mento e forza da Lui, il Signore Gesù, sorgente e modello dell’amore – anche dell’amore nuziale.
“Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, Io sono in mezzo a loro” (Mt 18,19) – assicura il Signore: unita alla Sua, anche la nostra povera preghiera è onnipotente!

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#AndràTuttoBene? Il lieto ottimismo del Credente

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Incredulità di San Tommaso. Olio su tela, (1600-1601), cm 107*146

Viviamo con gioia, ciascuno al posto che gli è consentito, la Settimana Santa, il cuore dell’anno liturgico e la ragione della nostra Speranza.
L’etichetta “… #AndràTuttoBene…” di questi giorni è certezza per il Credente!
Se Dio è dalla nostra parte – esclamava san Paolo 2000 anni fa -, e lo è nella buona e nella cattiva sorte, come potrebbe essere altrimenti?

“Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno”… (Rom 8,28), poiché

“né morte né vita (…), né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.” (cf. Rom 8,38).

Il fondamento dell’ottimismo del Credente, anche in questi giorni, sta nel fatto che Dio vuole e può volgere al bene ogni cosa.
Il problema è – come sempre: siamo noi dalla parte di Dio?

“Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete piuttosto colui che può far perire l’anima e il corpo nella geenna” (cf. Mt 10,28).

Lasciamo risuonare nel nostro cuore questo monito del Signore!

Temiamo Dio? Lo amiamo?
Se Dio in questi giorni ci sta provocando alla conversione, accettiamo?

Certamente andrà tutto bene, poiché Lui lo vuole, alla condizione che accogliamo la Sua grazia e lasciamo che essa ci trasformi, purifichi, rinnovi, santifichi.

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Il Risorto intagliato nella croce

Mì è piaciuta questa croce, che lascia intravvedere Cristo risorto: il mistero della Sua gloria intagliato dentro quello della Sua sofferenza.
Fino a quando la nostra redenzione non sarà compiuta, quaresima e pasqua si intrec-ciano e la nostra trasfigura-zione, come quella del nostro Signore, passa necessariamente attraverso la via della croce.
E come Lui è stato esaltato perché si è fatto obbediente fino alla morte, alla morte di croce, così noi, lungo la via dell’obbedienza alla volontà del Padre, ritorniamo passo per passo nell’Eden perduto, dove non vi saranno più croci.

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Gesù, partecipa a noi la tua vittoria!

La prima domenica di quaresima si apre con il Vangelo delle Tentazioni.
Gesù, che con la forza dello Spirito va nel deserto, ci invita oggi a seguirLo: “Vieni dietro a me”.
È quaresima ogni volta che accogliamo il Suo invito, e insieme a Lui, mano nella mano, ci allontaniamo dalla superbia del mondo e camminiamo umilmente nella via della carità.

Gesù, venuto a salvare l’umanità, aveva davanti a Sé due prospettive: la possibilità di salvarci senza sofferenza, passando di gloria in gloria, oppure di attuare la sua missione mediante il sacrificio del dono di Sé, fino al limite della passione e della croce.
Alla fine dei quaranta giorni, il Maligno si avvicina a Gesù con questa tentazione e gli prospetta un cammino di gloria.

Pensiamo ad es. alla terza tentazione: “Gettati giù dal pinnacolo del tempio; angeli verranno e ti sosterranno…”.
Cosa significa?
Parafrasando: “Gesù, Figlio di Dio, compi un grande miracolo, davanti a tutti (il pinnacolo era il punto più visibile ed esposto del tempio), manifesta la tua gloria e tutti crederanno in te, senza fatica, e ti riconosceranno come Messia”.

Quanto dev’essere costato al Signore nella debolezza della sua umanità, in tutto simile alla nostra fuorché nel peccato, respingere questa tentazione, accettare di condurre gli apostoli alla fede per gradi, sopportare la pregiudiziale ostilità di scribi e farisei! insomma, salvarci “dal basso” della nostra misera condizione di peccatori!

Cominciamo Quaresima ringraziando Gesù per il suo sacrificio, posto in obbedienza radicale alla volontà del Padre.
Non siamo stati noi a fare Quaresima, l’ha fatta Lui per noi, Lui ha sofferto al posto nostro, e noi non avremmo speranza, se Gesù non avesse accettato di lottare contro il Maligno e di piegarlo, una volta per tutte. A noi spetta, specialmente nella quaresima liturgica, credere in Lui e lasciarci accompagnare da Lui nel deserto, per consentirGli di rivivere la Sua battaglia e la Sua vittoria nel contesto della nostra vita.

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God’s not dead

Un intreccio di persone e di storie, legate dalla domanda essenziale, cui nessuno può sfuggire: esiste Dio? è dimostrabile la sua esistenza? e se esiste, ci ama o il nostro destino gli è indifferente?

Attorno a queste domande cruciali si svolge la storia del film “God’s not dead”, molto bello e avvincente, che abbiamo proposto nella prima puntata del “Cineforum cristiano”, domenica 4 marzo nel Centro Parrocchiale di Millan: giovani e meno giovani, ci siamo lasciati pienamente coinvolgere dal racconto del coraggioso studente universitario americano, il quale, da vero testimone (Josef Mayr Nusser!), dichiara al brillante professore di filosofia ateo e al folto gruppo dei suoi compagni di corso, di essere cristiano. Ne nascerà una pubblica sfida tra il professore e il giovane studente, che culminerà nella vittoria trionfale, in pieno stile americano, di quest’ultimo.

Non possiamo “dimostrare” l’esistenza di Dio; al più possiamo dimostrare che le scoperte anche più recenti della scienza non soltanto non si oppongono al racconto biblico rettamente interpretato, ma ne confermano la veridicità: la nostra mente non va oltre.

Ma Dio è Persona, e si lascia conoscere in un rapporto personale, che va ben oltre le possibilità cognitive della sola mente umana e delle scienze sperimentali. “Conoscere” in senso biblico è sinonimo di “amare”: noi “conosciamo” Dio lasciandoci amare da Lui e amandoLo. Proprio così un bimbo “scopre” i suoi genitori e allo stesso modo noi “scopriamo” gioiosamente che Dio esiste e che ci tende la mano da sempre.

Sembra paradossale, ma è necessario credere in Dio per conoscerLo. Chi non accetta questo; chi si chiude in preconcetti pseudoscientifici; chi pretende di dover anzitutto ‘dimostrare’ l’esistenza di Dio, prima di accoglierLo nella propria vita, ha sbagliato metodo.

Così hanno fatto purtroppo i Giudei, che pur avendo visto tanti miracoli, a un certo punto domandano al Signore: “dacci un segno dal Cielo!” (Lc 11, 16), cioè “dimostra” che Tu come affermi, sei di origine divina. Sappiamo dai Vangeli (cf. ad es. Lc 11, 29) che Gesù non li ha aiutati (non poteva farlo!) e che e non ha posto alcun segno, bensì ha rimandato i suoi accusatori al grande segno di Giona, cioè al fatto che presto Egli sarebbe risuscitato dai morti.

Dio non nega a nessuno il dono di conoscerLo e di entrare in rapporto con Lui, se solo abbiamo l’umiltà di accogliere la Sua rivelazione come dono e di non pretendere di dimostrare ciò che sta oltre la nostra natura.

Imitiamo la disponibilità a credere, di cui ha dato prova il Cieco nato. Gesù lo guarisce, i farisei non sanno ‘spiegare’ come ciò sia successo e lo cacciano via; ma poco dopo egli incontra nuovamente il Signore, il quale gli domanda:

“Tu credi nel Figlio dell’uomo?”. Ed egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “Tu l’hai visto: colui che parla con te è proprio lui”. Ed egli disse: “Io credo, Signore!”. E gli si prostrò innanzi. (cf. Gv 9, 1 s.)

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Nel giorno mondiale del Malato

Il Giorno mondiale del Malato coincide con la memoria liturgica della Madonna di Lourdes (11 febbraio): ci ricordiamo dei nostri malati volgendo lo sguardo verso Colei, che Dio ha preservato immune dal peccato originale, causa prima di ogni malattia.

In questo modo siamo aiutati a credere che la malattia non fa parte dell’umana natura: Dio non ha mai voluto che i Suoi figli provassero la sofferenza.

E davanti al mistero della sofferenza e della morte si apre all’orizzonte del Credente la speranza nella risurrezione e nella vita e gioia eterna, poiché – come dichiara Cristo ai Sadducei che lo mettono alla prova: “Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui” (cf. Lc 20, 38).

Il Giorno mondiale del Malato è legato anche alla vicenda terrena dell’umile veggente di Lourdes, santa Bernadette Soubirous.

Quando, l’11 febbraio del 1858, la Vergine le apparve per la prima volta presso la rupe di Massabielle, sui Pirenei francesi, Bernadette aveva compiuto 14 anni da poco più di un mese.
Il primo riconoscimento ecclesiastico della verità delle apparizioni venne firmato dal vescovo di Tarbes nel 1862.
Quattro anni dopo, a 22 anni, Bernadette decide di rifugiarsi dalla fama a Saint-Gildard, casa madre della Congregazione delle Suore della Carità di Nevers. Ci rimarrà 13 anni.
Costretta a letto da asma, tubercolosi, tumore osseo al ginocchio, all’età di 35 anni, Bernadette rinasce alla vita del Cielo il 16 aprile 1879, mercoledì di Pasqua.
Nella terza apparizione, giovedì 18 febbriao 1858, la Madonna, rivolgendosi a Bernadette in dialetto pirenaico, le chiede:
“Vuoi farmi la gentilezza di venir qui per quindici giorni?”
“Sì, ve lo prometto!” – risponde pronta Bernadette.
La Vergine le sorride e dice:
“Ed io non ti prometto di farti felice in questo mondo, ma nell’altro sì!”.

Quale mistero è racchiuso in queste parole?

Quale speranza possono attingere i sofferenti dalla promessa di Dio? Poiché Egli ha promesso che “asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”, e che nella Gerusalemme celeste, dove i Redenti regneranno con Lui per sempre, “non ci sarà più la morte, né cordoglio né grido né fatica, perché le cose di prima sono passate” (cf. Apc 21, 4 s.).

Non sappiamo come ciò avverrà, ma non dubitiamo che Dio possa fare tanto; e che Egli lo voglia con tutta l’onnipotente forza del Suo amore per noi.

Con questa fede in cuore cerchiamo di affrontare le nostre sofferenze e di accompagnare, delicatamente, i nostri fratelli e le nostre sorelle nel dolore della malattia.

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Non può donarsi chi non si possiede

E’ necessario fare penitenza? non basta già il peso di ogni giorno?
Non ha detto il Signore: “Ad ogni giorno basta la sua pena” (cf. Mt 6,34)?

Non penso che in Quaresima dobbiamo inventarci cose straordinarie…; dobbiamo piuttosto sforzarci di compiere con maggiore fede e amore i doveri quotidiani.

Dobbiamo soprattutto custodire meglio la purezza della nostra veste battesimale, cioè lo stato di grazia, immergendo questa veste, quando è macchiata dal peccato, nel bagno purificatore della misericordia divina, il che avviene in concreto in una Confessione fatta con cura.

Custodire candida la veste battesimale: questo impegno, che dura tanto quanto la nostra vita di battezzati, comporta la decisione di esaminare regolarmente la propria coscienza e di aprirci ad accogliere la grazia del perdono nel sacramento della riconciliazione.

Ci incoraggia nel proposito di una buona confessione anche l’iniziativa delle “Ventiquattro ore per il Signore”, venerdì 9 marzo p.v., promossa dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione: molte chiese rimarranno aperte fino a notte inoltrata per il servizio delle Confessioni; ma non dimentichiamo che nel nostro Decanato il Confessionale è disponibile cinque ore ogni giorno dell’anno!

Quanto all’esercizio della penitenza, essa serve a rafforzare la volontà, che è il motore, alla cui forza è affidata la concretizzazione dei nostri propositi e delle nostre decisioni.

Ne sente il bisogno che desideri davvero imparare a donarsi a Dio e al prossimo nell’amore, poiché per farlo è necessario anzitutto “possedersi”, cioè acquisire un pieno controllo delle proprie passioni e pulsioni. Chi non si possiede non può nemmeno donarsi.

In verità il pieno possesso del nostro essere è la conseguenza di quella piena pacificazione fra anima e corpo, che sarà il contrassegno della nostra nuova condizione di Redenti in Cielo; ma già ora siamo in cammino verso quella condizione beata, e – ne sono certo – se domandiamo umilmente quello che Dio vuole donarci, ad es. la vittoria sulla lussuria e la purezza del cuore e dei sentimenti, Lui ce lo concederà!

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Morte, sorella morte…

Scrivo questo foglio avendo nel cuore e nella mente un giovane medico residente nella nostra parrocchia, che domenica 2 febbraio, all’imbocco della Ferrata delle Aquile in Trentino, tradito dal ghiaccio, è morto precipi-tando per 200 metri.

Ripenso alle parole del Signore: “se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” – cioè come gli operai su cui crollò la torre di Siloe, oppure come i Galilei, “il cui sangue Pilato fece scorrere insieme a quello dei loro sacrifici” – erano notizie di cronaca nera di allora, molto simili a quelle dei nostri giorni…
Che la morte sopravvenga dopo lunga malattia oppure all’improvviso non conta: quello che fa la differenza è “che ci convertiamo”.
Come ha da intendersi?
Convertirsi significa imparare a vivere quaggiù protesi verso l’Aldilà…
Convertirsi significa imparare a morire a se stessi ogni giorno, accettando di assoggettare la propria volontà alla volontà del Padre.
Convertirsi significa vivere i giorni terreni come pellegrinaggio, sempre ricordandosi del grande traguardo che è la santità dell’anima, condizione per diventare cittadini della Gerusalemme celeste.
Convertirsi significa comprendere che Dio, sceglie i tempi e i modi del nostro transito con amore di Padre, in funzione della nostra salvezza eterna.

Può la morte diventare “sorella morte”? “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio” (cf. Mc 10, 27). Dunque, per la Sua forza è possibile. Ce lo ha insegnato Francesco nel Cantico delle Creature:

“Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali; beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male”.