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Sub tuum praesidium

In questi tempi difficili, in cui la Chiesa è attaccata in modo particolare dal male (secondo Papa Benedetto, la persecuzione più grande “nasce dal peccato della Chiesa”, cioè dal suo interno), il Papa chiede ai fedeli di tutto il mondo di unirsi in una preghiera corale in questo mese di ottobre per invocare la protezione di Maria e dell’Arcangelo Michele.

Francesco ci invita a pregare il Rosario tutti i giorni in questo mese mariano, concludendo la recita con due invocazioni: a Maria e all’Arcangelo Michele.
La prima preghiera, “Sub tuum praesídium”, risalente al III secolo, è il più antico tropario dedicato alla Madre di Dio:

“Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o vergine gloriosa e benedetta”.

La seconda invocazione è una preghiera a San Michele scritta da Papa Leone XIII nel 1884 per chiedere la protezione della Chiesa dagli attacchi del maligno:

“San Michele Arcangelo, difendici nella lotta, sii nostro presidio contro le malvagità e le insidie del demonio. Capo supremo delle milizie celesti, fa’ sprofondare nell’inferno, con la forza di Dio, Satana e gli altri spiriti maligni che vagano per il mondo per la perdizione delle anime”.

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Cristo, incarnazione delle Beatitudini

Nella solennità dei Santi la Chiesa ci fa ascoltare il vangelo delle beatitudini (Mt 5, 1-12). Esse parlano di Gesù Cristo: è Lui il “povero in spirito”, che sa di dipen-dere totalmente dal Padre, e considera proprio cibo “fare la volontà del Padre che lo ha inviato”.

E’ Lui l’afflitto, che non ha considerato un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma si è fatto schiavo, nostro servo, e fino alla morte di croce. E’ Lui il re, mite ed umile di cuore…
E’ Cristo ad avere fame e sete della giustizia, intesa come rispetto delle leggi di Dio e della Sua volontà.
E chi altri, se non Lui, Gesù, è misericordioso, e puro di cuore e operatore di pace? Davvero, le beatitudini parlano anzitutto di Lui.

Questo pensiero forse ci aiuta a comprendere meglio la nostra vocazione battesimale: che consiste essenzial-mente nel diventare Cristo, il cui Spirito ha preso dimora nei nostri cuori dal giorno del Battesimo.
Siamo chiamati non soltanto ad imitare Cristo con le nostre povere forze, ma ad essere trasformati in Lui, come è avvenuto per i Santi.
Il miracolo che avviene ad ogni Messa, cioè la transustan-ziazione delle specie, deve avvenire in noi, e di fatto avviene nella misura in cui permettiamo alla Grazia di santificarci e rigenerarci nell’Essere.
Pensando a tutto questo, comprendiamo anche che cosa valga alla fine della vita… in che misura una vita possa dirsi, cristianamente parlando, “riuscita”, “di successo”, al di là delle apparenze, davanti al Padre che vede nell’intimo, nel segreto del nostro cuore: tutto dipende dal grado della nostra progressiva trasformazione interiore ad immagine e somiglianza del Cristo. Se il Padre potrà riconoscere in noi l’immagine del proprio Figlio, e nella misura in cui potrà farlo, non potrà che amarci: …noi, ritornati figli nel Figlio unigenito.

I nostri cari defunti lo sanno bene: stanno davanti a Dio con le loro opere buone e con le loro occasioni di santificazione mancate…
Chissà quale gioia, pensando alle azioni compiute nello Spirito di Gesù e delle beatitudini.
Chissà quale rimpianto per non aver avuto la saggezza di sfruttare meglio tempo e circostanze, per assecondare l’azione dello Spirito e diventare più conformi a Cristo.
Dal silenzio delle loro tombe, ascoltiamoli: ci parlano, ci incoraggiano a seguire la via stretta che conduce alla vita, ci sono vicini, sono partecipi della nostra lotta quotidiana contro il male e il Maligno.
Li ringraziamo, preghiamo per loro, preghiamo con loro, nella speranza che Dio ci faccia tutti concittadini della Gerusalemme celeste, dove incontreremo nuovamente i nostri cari, finalmente oltre ogni affanno, nella pace e nella giustizia, nella purezza di cuore e nella mitezza, nella misericordia e nella verità … nel Regno di Cristo, nel Regno delle beatitudini evangeliche.

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San Michele, Patrono carissimo

 

San Michele sta davanti a noi come messaggero della gloria divina e della vittoria dell’Amore sulle forze del male.
Affidiamo alla sua intercessione la nostra famiglia par-rocchiale – allargata all’Unità parrocchiale, insieme alle nostre famiglie:

“San Michele Arcangelo, patrono carissimo, dolce amico del mio spirito, contemplo la gloria che Ti colloca lì, dinanzi alla Santissima Trinità, vicino alla Madre di Dio.

Umilmente Ti prego: ascolta la mia preghiera ed accogli la mia offerta.
A Te affido il mio passato per ricevere il perdono di Dio.
A Te affido il mio presente perchè accolga la mia offerta e ritrovi la pace.
A Te affido il mio futuro, che accetto dalle mani di Dio, confortato dalla Tua presenza.

Michele Santo, Ti supplico: con la Tua luce illumina il cammino della mia vita. Con la Tua potenza, proteggimi dai mali del corpo e dell’anima.
Con la Tua spada, difendimi dalle suggestioni del Maligno.
Con la Tua presenza, assistimi nel momento della morte e conducimi in Paradiso, al posto che mi hai riservato.
Alloro canteremo insieme: Gloria al Padre che ci ha creati, al Figlio che ci ha salvati e allo Spirito Santo che ci ha santificati. Così sia”.

 

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Umile e grande: il beato Enrico da Bolzano

Mentre si avvicina la consacrazione episcopale di Mons. Michele Tomasi, neoeletto vescovo di Treviso, ci fa riflettere la figura del Beato Enrico da Bolzano, che visse gran parte della sua umile vita a Treviso. Gianpiero Pettiti, in “Santi e Beati”, lo tratteggia così:

“Lavora sodo, Enrico.
È nato a Bolzano intorno al 1250, si è sposato, ha messo su casa e gli è nato un figlio.


Non si sa bene quando, non si a bene perché, forse al ritorno da un pellegrinaggio a Roma, un bel giorno decide di trasferirsi nel trevigiano insieme alla famiglia e qui si ferma nel podere di un signorotto locale, iniziando (o continuando) a fare il boscaiolo. Dicono per vent’anni, o forse più, certamente fino a che le forze glielo permettono. A tempo perso è stato anche uomo di fatica, disponibile per traslochi e per ogni lavoro pesante. Né altro avrebbe potuto fare lui, pover’uomo analfabeta, come la stragrande maggioranza dei suoi contemporanei, obbligato a vivere col sudore della fronte.
Mortagli la moglie e poco dopo anche l’unico figlio, decide di traslocare a Treviso. Per la pensione, potremmo pensare, invece da quel momento la vita di Enrico assume un nuovo corso. Un notaio trevigiano lo ospita in una catapecchia e qui Enrico inizia una vita di preghiera e di penitenza.
Veste un saio ruvido, porta sul suo corpo strumenti di penitenza, prega e cerca di aiutare tutti coloro che hanno bisogno di aiuto.
Il segreto per alimentare questa vita di preghiera e di carità sta nella Messa quotidiana e nella Comunione. Si fa pellegrino di chiesa in chiesa, visitando ogni giorno tutte le chiese di Treviso e partecipando avidamente a tutte le celebrazioni che in esse si svolgono.
Soprattutto, Enrico, povero in canna, diventa il “banchiere di Dio”, andando a bussare a tutte le porte per elemosinare un aiuto che gli consenta di venire in soccorso ai tanti miserabili che pullulano in città.
In questa rete di carità riesce a coinvolgere anche il vescovo e addirittura il signore di Treviso, a testimonianza della stima e del rispetto che lo circondano.
Che di quanto gli viene donato nulla tenga per sé, lo dimostra il fatto che muore in povertà estrema, completamente solo nella sua catapecchia, il 10 giugno 1315.
Il suono misterioso delle campane di tutte le chiese di Treviso annuncia il suo decesso alla città, che si ritrova stretta attorno alla sua bara per un funerale che sembra un trionfo. Perché i prodigi cominciano a fioccare proprio durante le esequie….
La sua fama da Treviso si estende a tutta l’alta Italia e agli stati confinanti, facendo affluire alla sua tomba frotte di pellegrini. (…). Il culto del beato Enrico da Bolzano è stato approvato da Benedetto XIV nel 1750, per dare un celeste protettore a tutti i boscaioli del mondo e non solo.”

[Fonte: http://www.santiebeati.it/dettaglio/33250%5D]

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Benedici il Signore, che da senso alla tua vita

Bella l’estate, ma non meno bello l’autunno, pieno di colori e di frutti. Chi crede sente il bisogno di ringraziare Dio, come fa stupendamente l’autore del salmo 104:

“Benedici il Signore, anima mia, / Signore, mio Dio, quanto sei grande!
Rivestito di maestà e di splendore, / avvolto di luce come di un manto.
Tu stendi il cielo come una tenda, / costruisci sulle acque la tua dimora,
fai delle nubi il tuo carro, / cammini sulle ali del vento”…

La contemplazione della natura può aprire un cuore agli interrogativi essenziali, che costituiscono l’oggetto di ogni religione, la quale ha come fine quello di orientare la persona in ordine al senso della vita:

“Perché sono? Per chi sono? Da dove vengo e dove sono diretto? Cosa mi attende oltre la morte, che cosa posso sperare? Qual’è il senso ultimo di questo mondo, talmente bello da togliere il fiato? e perché ancora tanta sofferenza e cattiveria tra gli uomini?”

Mi chiedo: sono sentiti questi interrogativi?
Essi non hanno scadenza, non sono “urgenti”, come gli impegni che riempiono le nostre giornate…
Ma se vogliamo “vedere in profondità” dentro il mondo e dentro la vita; e se vogliamo in tal modo superare la nostra radicale solitudine entro l’Universo, nel quale non troviamo (e non troveremo) compagni, abbiamo bisogno di riscoprire il nostro bisogno religioso, dobbiamo pren-derci il tempo di approfondire quelle domande di fondo non urgenti ma essenziali, che reclamano la luce della Fede, oltre ma non contro la scienza.

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La Chiesa del futuro

In un incontro serale della Consulta di Oratorio, qualche giorno fa, sono emersi alcuni temi molto interessanti, legati a osservazioni e preoccupazioni condivise da tutti: ci stiamo incamminando verso tempi ecclesiali nuovi, senza bene sapere dove stiamo andando…

Una punto di convergenza che ci ha trovati uniti era la certezza che il cristiano del futuro dovrà essere un testimone, capace di attingere dal proprio cuore e dalla propria preghiera la capacità di portare nel mondo il profumo del vangelo.

Se nei tempi passati la Chiesa poteva contare su tradizioni e strutture solidamente impiantate nel tessuto sociale, i tempi odierni cambiano rapidamente e vanno verso una progressiva rapida laicizzazione della società, che già si fa sentire con tanti segnali inquie-tanti: ad es. il calo del numero dei battezzati, una diffusa ignoranza dei fonda-menti della fede, l’incapacità di viverla dentro le famiglie, la conseguente carenza di vocazioni consacrate, la ri-chiesta dei sacramenti senza vero impegno di fede, la perdita del senso cristiano della domenica, la poca efficacia dell’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche, ecc…

Non vogliamo piangerci addosso: si tratta di sfide del nostro tempo e della nostra generazione, che ci impe-gnano anzitutto in uno sforzo di conversione individuale e comunitario.

Già molti decenni fa un grande teologo (Hans Urs von Balthasar) affermava che “il cristiano del futuro sarà un mistico oppure non sarà”, intendendo con questa espres-sione semplicemente che i cristiani del futuro dovranno sforzarsi anzitutto di prendere nuova coscienza del “Mistero” del loro Battesimo, se vorranno avere la forza di una efficace testimonianza del Vangelo nel mondo.
Quanto più la Chiesa viene spogliata delle antiche strutture e tradizioni e del suo influsso sociale e culturale – fino a pochi decenni fa molto forte, – tanto più il cristiano dovrà attingere le ragioni di una vita secondo il vangelo dalla propria preghiera e dalla propria convin-zione di fede: ecco cosa è necessario per stare in piedi dentro un mondo, che pur avendo estremo bisogno di Dio, sempre più decisamente tende a negarne l’esistenza, nel momento stesso in cui esprime un nuovo ed esasperato illuminismo.

In una testimonianza rilasciata da Josef Ratzinger nel 1969 (sic) ad una radio tedesca, il teologo affermava:
“Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto, diverrà piccola e dovrà imparare più o meno dagli inizi…
“Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempo di prosperità…
“Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali.
“Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la fede al centro dell’esperienza…
“Sarà una chiesa più spirituale, che non si arrogherà un man-dato politico, flirtando ora con la sinistra ora con la destra…
Sarà povera e diventerà la Chiesa degli indigenti”…

E’ verso questa direzione che stiamo camminando?
Di fatto tutti ci accorgiamo che “le cose stanno cambiando”: per secoli e fino a pochi decenni fa tutto ruota-va attorno al suono delle campane e alla voce grossa del parroco; questi tempi adesso stanno rapida-mente tramontando, e non è un male.

Si aprono tempi nuovi, nei quali è richiesta una maturità di fede nuova, che per qualità e spessore dovrà tenere il passo con quella richiesta ai Credenti, purtroppo ancora oggi confrontati con la persecuzione violenta.

Per comprendere e assecondare il piano di Dio e stare al passo coi tempi saranno pure importanti le sedute, ma a nulla servono se manca la preghiera, in specie l’adora-zione eucaristica, l’ascolto di Dio e la conversione per-sonale; come sottolinea spesso il nostro Vescovo Ivo, è da qui che parte ogni vero rinnovamento.

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Verso la Domenica senza tramonto

In agosto molti cercano riposo, anche qui da noi: augu-riamo quindi ai cari ospiti di ristorarsi, nel corpo e nel-l’anima.

Non è facile “staccare” e ricaricarsi in poco tempo, ma forse basta già qualche momento di buona compagnia e qualche bella esperienza nella natura e a tavola, per ricaricare un po’  le batterie…

La Chiesa, saggiamente, ci fa pregare: “Padre buono, con le piccole gioie che disponi sul nostro cammino, aiutaci ad aspirare alla gioia che non ha fine”…

E ci ricorda continuamente che siamo creati per una “domenica senza tramonto” – come si esprime un altro testo liturgico, cioè per una festa senza fine; siamo fatti per quel “Lassù”, in cui si compirà ogni nostra aspirazione di vita e di felicità.

Il nostro “Lassù” non è un luogo ma una Persona: è Dio!
“Paradiso” è partecipare alla vita e alla gioia che Dio possiede e vuole donarci; è condividere a tal punto la vita del Figlio unigenito Gesù, da poter vedere il Padre insieme a Lui.

Maria, che conosce nell’anima e nel corpo questo “Lassù”, ci aiuti a compiere il nostro pellegrinaggio interiore, fino a quando il nostro cuore  riposerà nell’amore del Padre, che asciugherà ogni nostra lacrima.

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Pace nell’imitazione di Cristo

Nel mese di agosto ci lasciamo guidare da questa perla del Breviario, un brano dell’”Imitazione di Cristo”.

La viva conoscenza di Cristo è il nostro riposo, la sua imitazione è fonte di pace vera. Il nostro pellegrinaggio interiore ha Cristo come via, e come tra-guardo la piena conformazione a Lui.

Ci sorregga nel nostro cammino l’aiuto di Maria assunta, poiché “qual vuol grazia a e lei non ricorre, sua disianza vuol volar sanz’ali”.

“Convèrtiti di tutto cuore al Signore, abbandona questo misero mondo, e l’anima tua riposerà, perché il regno di Dio è pace e gioia nello Spirito Santo. Verrà a te Cristo e ti mostrerà la sua consolazione, se però tu gli avrai preparato nell’intimo una degna dimora. Tutta la sua gloria e ogni suo splendore vien dall’interno (cfr. Sal 44,14) e quivi si compiace. Frequente è la sua visita all’uomo inte-riore, dolce il suo discorrere, gradita la sua consolazione, molta la sua pace, e la familiarità stupenda assai.

Su, anima fedele, apri a questo sposo il tuo cuore, così che abbia a degnarsi di venire a te e abitare in te. Dice infatti così: «Se uno mi ama, osserva la mia parola, e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).

Da’ luogo a Cristo, dunque. Quando hai Cristo, sei ricco e ti ba-sta. Sarà lui il tuo provveditore e il tuo procuratore in tutto, tanto che non occorrerà più sperare negli uomini. Poni tutta la tua fiducia in Dio, e sia lui il tuo timore e il tuo amore. Risponderà lui per te, e farà bene, farà quel che sarà meglio. Non hai qui la tua «città stabile» (Eb 13,14); e dovunque tu sia, tu sei un estraneo e un pel-legrino, né avrai mai riposo fintanto che non ti sarai intimamente unito a Cristo.

Il tuo pensiero stia sempre presso l’Altissimo e la tua supplica s’innalzi a Cristo senza interruzione. Se non riesci a speculare nelle cose alte e celesti, riposati nella passione di Cristo, e fa’ volentieri dimora nelle sacre ferite di lui.

Sopporta te stesso con Cristo e per Cristo se vuoi regnare con Cristo. Se entrassi una volta perfettamente nella intimità di Gesù e sentissi, sia pure in piccola misura, il sapore del suo amore arden-te, allora non ti cureresti più per nulla del tuo comodo o incomodo, ma piuttosto gioiresti degli obbrobri a te fatti, perché l’amore di Gesù fa che uno disprezzi se stesso”…

        Dal libro della “Imitazione di Cristo” (Lib. 2, 1-6)

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Contemplando l’Assunta

Veneriamo Maria “Vergine”: grazia e merito si intrecciano in questo appellativo, uno dei più frequenti attribuito alla Madonna.
Già i Padri della Chiesa professavano la fede nella verginità di Maria anche dopo il parto del Signore, convinti che la condanna di Eva (cf. Genesi: “con dolore partorirai…”) non potesse applicarsi anche a Lei, Maria, la tutta Santa.
Maria “Vergine”: è un appellativo sponsale, allude ad una consacrazione radicale del cuore e del corpo a Dio, amato prima di ogni cosa e sopra ogni cosa.

Ma anche gli sposi, se vivono in pienezza il loro rapporto, sono chiamati a modo loro ad un amore “verginale”, inteso come consacrazione di tutto l’essere, corpo e anima, alla custodia premurosa della gioia del proprio partner.
Solo quando è animato da questa intenzione il rapporto coniugale è coerente, nel senso che l’unione coniugale manifesta e rafforza l’impegno degli Sposi a diventare un cuore solo; in questo contesto “verginale” significa “puro” oppure “innocente”, ed è la condizione necessaria perché il carattere sessuale dell’amore risplenda in tutta la sua sacra bellezza.
La verginità è scelta di amore sponsale radicale: è la scelta di chi vuole amare il Padre come è amato dal Padre, senza condizioni e senza riserve.
Così ha amato Gesù per primo, così hanno amato i Vergini di tutti i tempi della Chiesa, nella sequela di Cristo, sull’esempio e con l’aiuto della Vergine Maria.
Mi pare importante considerare che la verginità consacrata non è la condizione definitiva dell’Uomo: è funzionale, in quanto legata al tempo presente e alla presente chiamata alla santità;
Siamo fatti per conoscere l’amore trinitario nell’esperienza della gioia nuziale dei nostri Corpi redenti e finalmente santificati.
E’ verso questo Paradiso che tutti siamo in cammino, tanto i Vergini quanto gli Sposi cristiani.
La verginità consacrata è già ora profezia di quei tempi nuovi, nei quali l’amore di chi sarà ritenuto degno delle Nozze eterne sarà perfetto. Per questo la Chiesa tiene in grande onore la verginità consacrata, e anche noi ne comprendiamo la bellezza.
E dal momento che tutti siamo chiamati alla pienezza della Caritas – anche gli sposi cristiani secondo la loro specifica vocazione – tutti ci affidiamo a Maria, la Vergine Sposa, la Donna bella nell’anima e nel corpo, che riassume in sé la bellezza di tutto il creato e prefigura la bellezza della Chiesa, e che ora è sponsalmente ‘una caro’ con Cristo risorto.

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“Vedrai che bello”…

Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: «Che cercate?». Gli risposero: «Maestro, dove abiti?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. (Gv 1, 35-40).

Scrivo queste righe a conclusione dell’annuale campo estivo a Cauria, sopra Pochi di Salorno, dal 22 al 29 giugno p.v., insieme a Suor Tiziana e Suor Ancilla, agli animatori, alle cuoche e a 21 bambini e ragazzi della nostra Parrocchia, con i quali abbiamo trascorso una settimana di gioia e pace nel segno dell’amicizia tra noi e con il Signore.

Ogni anno scegliamo un tema e ci riferiamo per lo più a quello proposto dagli Oratori della Chiesa milanese.
Il motto di quest’anno oratoriale era: “Vedrai che bello”, in riferimento alla sequela di Gesù, sull’esempio dei primi due apostoli da Lui chiamati, Giovanni e Andrea.
La bambina rappresentata nel logo si mette in punta di piedi per guardare più lontano, si appende con le braccia per salire ancora un poco più su e scoprire che c’è qualcosa al di là…
C’è una bellezza che si vede solo se hai il coraggio di andare oltre; accogliendo l’invito, la bambina si trova di fronte ad una croce luminosa e quasi ne prende parte. Dentro quella luce c’è il cuore del Vangelo: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15, 12).

“Vedrai che bello” vivere in questo modo!
“Vedrai che bello” sapere che la Sua luce è venuta nel mondo e brillerà per sempre, anche nella tua vita, se avrai il coraggio di sporgerti per guardare oltre, in punta di piedi, e cogliere così più intensamente la bellezza della Sua chiamata!