Problemi teologici delle tradizioni

Problema teologico dello Jahvista

3 fonti narrative: 200 anni di studi.

Gn – Giosuè sono formati da più fonti intersecantesi che furono a loro volta fuse + o – bene.

Jahvista – 950 J

Elohista 2 sec + tardi E

Deuteronomista (a parte) D

Sacerdotale P Priesterschrift.

Non valore assoluto alle datazioni

Nella P materiali antichi e antichissimi.

Genialità dello (J) – una delle maggiori affermazioni della storia ingegno umano di tutti i tempi. La descrizione varie scene stupenda limpidezza ed estrema semplicità. Con sorprendente esiguità di mezzi l’opera abbraccia l’intero arco della vita umana con le sue altezze e miserie.

Descrive con concretezza ineguagliabile l’uomo e il suo mondo, gli enigmi w i conflitti delle sue opzioni come pure gli smarrimenti del suo cuore.

Tra i narratori biblici è il + grande psicologo.

Ma l’uomo che egli studia non si sente solo al mondo con i suoi desideri e disperazioni; sente che nella sua vita si è manifestato il Dio vivente e sa di essere l’oggetto di un discorso, di un’azione divina.

Così, nella preistoria, considera i maggiori problemi dell’uomo alla luce della Rivelazione: creazione e natura, peccato e dolore, uomo e donna, discordia fra i fratelli, confusione fra i popoli ecc.

Ma soprattutto ama descrivere le vie che Dio ha seguito ai primordi di Israele, costellandole di miracoli manifesti e di misteri nascosti. Coglie quanto vi è di incomprensibile nell’elezione della comunità dell’AT e in Gn 12,3 reagisce con potenza profetica al mistero di questa provvidenza divina: “Jahvè è il Dio del mondo, ovunque la sua presenza è sentita con profonda venerazione”.

La narrazione è piena di arditi antropomorfismi. Jahvè passeggia nel giardino al fresco della sera, chiude l’arca, scende a vedere la torre di Babele ecc.

Ma tutto ciò non è prodotto dell’ingenuità e della rozzezza di un narratore arcaico; si tratta piuttosto di quella semplicità che sono l’indice di una grande spiritualità.

Ogni tentativo di spiegazione appare fragile.

L’opera dell’Eloista: intrecciata con l’(J) si distinguono chiaramente fra loro. In genere l’(E) non raggiuge maestria dello (J). I singoli materiali sono intrecciati in modo raffinato; es. vi si accentua + fortemente aspetto appariscente dei miracoli.

Non esige grandi sforzi dal lettore; è + popolare, rappresenta l’antica tradizione sacra del popolo in una forma meno ritoccata e spiritualizzata.

Non conosce una preistoria, inizia con Abramo

Ci sono chiari elementi di riflessioni teologica.

2 Peculiarità:

1) I contatti diretti fra Dio e l’uomo, le sue apparizioni, il suo intrattenersi sulla terra vengono rigorosamente ridotti; l’angelo di Jhavè non cammina + sulla terra, ma parla dal cielo Gn 21,17; 22, 11 . 15.

Questo distacco di Dio dall’uomo e dal terrestre sarà causa del grande valore che viene attribuito ai sogni. Sono essi, ora, il piano spirituale sul quale si svolge la rivelazione di Dio all’uomo; la zona franca del sogno è in un certo modo il terzo spazio nel quale Dio incontra l’uomo. Neppure qui però è dato all’uomo di accedere alla rivelazione direttamente; solo una speciale rivelazione che viene da Dio può infatti rendere possibile l’interpretazione dei sogni Gn 40,8; 41,15 sg.

2) Questa perdita dell’immediatezza nel rapporto con Dio e con la sua parola rivelata giustifica la grande importanza che l’0pera elohistica attribuisce al profeta e alla sua missione. Il profeta è colui che ha ricevuto una vocazione speciale di mediatore tra Dio e l’uomo; da Dio riceve la rivelazione e a lui, intercedendo, presenta le preghiere degli uomini Gn 20,7 .17; Es 15,20; 20,19.

La simpatia dell’E. per il profetismo e la sua missione è così spiccata, da rendere assai suggestiva l’ipotesi che l’intera sua opera sia sorta da antichi circoli profetici.

Redazione sacerdotale:

Anche un profano ne può riconoscere i testi, tanto le caratteristiche di forma e contenuto sono accentuate. In genere questo documento non è un’opera narrativa. Esso è un vero scritto sacerdotale, cioè dottrinale, e trascrizione d’un pensiero densissimo e teologicamente articolato. La forma pertanto di un genere a sé stante. La lingua è densa e pesante, meticolosa, per nulla artistica. Solo nei punti principali la dizione, di solito estremamente concisa, si stempera e diventa + particolareggiata, in modo da poter pienamente concettualizzare l’oggetto.

Come nello J abbiamo trovato una narrazione di alta semplicità, senza alcuna concessione al dottrinale (nel senso stretto del termine), così nella redazione sacerdotale non troviamo che un minimo di narrazione viva e di commozione artistica: ogni ornamento a effetto è stato abbandonato. In verità, è proprio in questa rinuncia che si può scoprire la sua grandezza; questa scarna oggettività è infatti altissima partecipazione, altissima concentrazione sulla rivelazione divina. Qui tutto è pensato in funzione teologica; in quest’opera possediamo l’essenza del lavoro teologico di molte generazioni di sacerdoti. Invano si cercherebbe in essa uno sforzo per descrivere gli uomini di fronte alla rivelazione, le loro situazioni, i loro conflitti e la loro problematicità spirituale e sociale. Da questo punto di vista la descrizione sacerdotale è del tutto incolore e schematizzata. L’interesse è concentrato esclusivamente su ciò che procede da Dio, sulla sua parola, i suoi disegni, i mandati, gli ordinamenti. La storia è vista unicamente in funzione delle decisioni e degli statuti comunicati da Dio, dalle istituzioni con cui, in misura crescente, egli fonda e garantisce la salvezza del suo popolo. Non è una storia degli uomini, ma solo la storia degli ordinamenti divini sulla terra.

La “redazione” dato lo sviluppo incredibilmente lento delle tradizioni sacre, non può essere stata completata nel giro di un anno e neppure di un secolo. La sua forma definitiva può averla avuta (sin?) in epoca postesilica; però accanto a materiali + recenti e fortemente elaborati dal punto di vista teologico, essa conserva ancora materiale antichissimo, che riporta quasi intatto, nella sua veste molto arcaica.

La forma dell’Esateuco è opera di redattori che si sono lasciati condizionare dalla particolare testimonianza che i singoli documenti rendevano alla fede. E’ indubbio che l’Esateuco, così com’è, richiede molta intelligenza da parte del lettore. Quest’opera immensa, infatti, è frutto di molte epoche, di molti uomini, molte tradizioni e teologie. Solo chi ne coglie la dimensione profonda saprà ascoltare la voce delle rivelazioni e delle esperienze di fede, che sale dal fondo di molte età.

Infatti nessuno studio della lunga gestazione di quest’opera è propriamente superato; di ogni fase qc è rimasto ed è entrato stabilmente nella stesura finale dell’Esateuco.

Jhavista

Per capire lo J ( e anche l’E) bisogna farsi ancora una domanda. Una grande quantità di tradizioni particolari antiche, nate dal culto, è entrata a far parte di quest’opera; sono materiali che il culto ha foggiato e che lunghe età hanno conservato. Ora però questo legame e questa ispirazione cultuale, senza dei quali un tempo, come abbiamo visto, queste tradizioni non erano neppure immaginabili, sono scomparsi completamente. E’ come se questi materiali avessero formato la loro crisalide e ne fossero usciti con una forma nuova, indipendente; si sono liberati dalla loro matrice sacrale e si muovono in una atmosfera del tutto o in parte estranea al culto.

Questo fiorire di tradizioni fuori dal loro ambito originario non fosse una via obbligata di una loro secolarizzazione oppure se quello che avevano perduto, in un primo tempo disancorandosi dal culto, non sia stato sostituito da un nuovo legame teologico d’altro genere.

Non è allora inutile mettersi alla ricerca del fatto divino che ha permesso allo (J) di concepire tutta la sua opera. L’antico Israele era abituato a considerare la parola di Dio e la sua opera salvifica come intimamente connesse con le intuizioni sacre e particolarmente con l’ambito + strettamente cultuale del sacrificio e dei responsi divini a opera dei sacerdoti; tuttavia l’esperienza della azione provvida e salvatrice di Dio si poteva avere anche nella sfera cultuale intesa in senso + largo, per es. nella guerra santa, nel carisma di un condottiero inviato da Dio, nel terrore sacro che colpiva i nemici, o negli altri prodigi operati alla presenza dell’Arca. Lo (J) invece vede l’azione di Dio in maniera essenzialmente diversa. Non che egli contesti la possibilità dell’intervento di Dio su cui i suoi predecessori particolarmente si fondavano, ma ne supera le condizioni religiose. La mano di Dio che guida egli la vede tanto negli avvenimenti della grande storia quanto nello svolgimento silenzioso della vita umana, nelle cose profane non meno che in quelle sacre, nei grandi prodigi come nel segreto del cuore. (Nella storia di Giacobbe e Giuseppe ad es., ci viene quasi suggerita l’idea che Dio operi persino nel peccato dell’uomo e x esso). Insomma per la prima volta si pone il centro di gravità dell’azione divina al di fuori delle istituzioni sacre; in tal modo essa risulterà evidente allo sguardo comune, dato che è all’opera anche in tutta la sfera profana; ma certo viene concepita in forma + integrale, meno discontinua, + coerente. Lo (J) ci presenta la storia unitaria delle provvidenze e degli interventi divini che investono tutti i campi della vita, pubblici e privati.

Una concezione siffatta, che non vede + l’azione di Dio legata alle antiche istituzioni sacrali, ma non si perita di ravvivare le tracce nella complessità delle sorti politiche e personali, era evidentemente rivoluzionaria nei confronti delle antiche concezioni cultuali e patriarcali.

In pratica poi essa è in strettissimo rapporto con i grandi fatti storici dell’epoca, specie età di David. L’antica confederazione sacra delle tribù (epoca Giudici) si è sciolta e la vita del popolo ha cominciato a uscire dalle vecchie forme in cui era stata incanalata e a secolarizzarsi.

Già con Saul la ragione di stato s’era emancipata dagli antichi ordinamenti cultuali e questo movimento deve aver fatto grandi progressi nell’organizzatissimo apparato statale di David nella corte come nell’esercito.

I vari settori capitali della vita del popolo diventano sempre + indipendenti e retti da esigenze proprie; in ogni caso è tramontato per sempre il tempo che aveva visto l’ordinamento sacrale imporsi a tutte le altre norme di vita.

Ma, in questo modo, Israele è forse caduto fuori dell’orbita del suo antico Dio, del Dio dei Padri e di Mosè? E’ uscito dal raggio di salvezza e dalla sua guida. Questo è il grande problema.

Lo (J) risponde. Il suo modo di raccontare spira una fiduciosa e fermissima persuasione che Jahvè è vicino e governa direttamente il suo popolo e che è possibile, usando il nuovo linguaggio religioso, parlare di tutto nel modo + semplice.

Certo per cogliere l’intero mondo di idee dello (J) bisogna appellarsi non solo alle storie patriarcali, ma anche ai racconti di Mosè, Sinai, Esodo, Numeri (racconti). Lì si comprende pienamente quanto fossero lontani i tempi antichi compresa l’età dei giudici. Dalla situazione storica che l’opera dello (J) suppone si può almeno rilevare che essa è nata nei primi tempi dopo la costituzione dello stato. E’ sintomatico che le tribù non abbiano + una vita politica propria ma che d’altra parte non sia possibile trovare in nessun punto la scissione in 2 regni.

I mutamenti politici che si possono arguire sono il cambiamento delle idee religiose che sono diventate + moderne (confr. Giudici).

Dietro l’opera dello (J) si intuisce una nuova esperienza di Dio, e nella singolare storia che egli scrive tutta tessuta di meravigliosi interventi e provvidenze divine nascoste, par di poter cogliere ancora la fresca gioia di uno scopritore.