Esegesi Esodo 14

Esegesi Es 14

Rappresentazione drammatica in 3 atti

  1. Vv.1-14 Dio comanda e fa promesse cfr ciò che promette non si avvera del tutto. V.4 Dio annuncia la soluzione del dramma. Israele però non avrà piena percezione di questo lieto fine se non alla fine. Il popolo vedrà e vivrà la vicenda non come fatto automatico che va da sé, nè esce salvato miracolosamente, quasi da un atto magico di Dio. Israele invece dovrà passare per la grande paura.
  2. Dopo il v.14 c’è una pausa del testo e il sipario si apre su una scena diversa. II atto del drmma quello in cui il popolo entra nel mare, nella morte vv.115-25.
  3. Soluzione del dramma: gli egiziani che muoiono e gli Israeliti che vivono, salvati 26-31.

Il racconto è scandito da ordini del Signore 1.15.26 “Il Signore disse a Mosè…” Egli conduce l’azione, è il protagonista principale della vicenda poiché lo è della storia e della creazione. Tutto comincia con Dio che apre la bocca per parlare, con la sua parola efficace che fa quello che dice come nella creazione dell’uomo.

L’evento è tutto talmente dominato da Dio che anche il cuore del faraone, paradossalmente, è guidato da lui nella sua empia resistenza. L’indurimento del cuore del faraone è controllato da Dio + inserito nel suo piano vv. 4.8.17. Per fare salvezza Dio può infatti servirsi di tutto, anche di ciò che liberamente gli si oppone, e porta avanti il suo disegno, assorbendo ogni resistenza. Penetra le opposizioni e le resistenze così a fondo da trasformarle in luoghi in cui +tangibilmente si rende visibile la sua gloria e la sua salvezza. Le attraversa assorbendole nel suo amore e in tal modo ne cambia il senso.

Primo atto vv.1 -4

Nei vv.1-22 la parola mare è riceputata insistentemente. Il mare (acque = simbolo del male, forze minacciose che evocano potenze infernali + morte.

In Gn 1-2 prima della creazione il testo dice che esisteva “tehom” = l’abisso tenebroso delle acque = caos primordiale. Il mare è uno dei protagonisti importanti del dramma, come nemico d’Israele insieme agli egiziani. Il v.9 ci presenta gli Israeliti accampati presso il mare. Il faraone li aveva inseguiti mentre essi uscivano a mano alzata v.8. Questo gesto è significativo: sembra segnalare un proposito deliberato, spavalderia, sicurezza, certezza di vittoria e senso di trionfo;….di chi pretenda di prendere in mano l’iniziativa degli eventi, sicuro di potercela fare e di trionfare con le proprie forze Nm 15,30-31 ; 33,3; Dt 32,26-27. Dio non aveva annunciato a Israele tutto il dramma per cui avrebbe dovuto passare, questi era uscito dall’Egitto sicuro di sé + vittoria. Arrivato al mar Rosso, invece, la mano alzata si abbassa e comincia il grande terrore. Israele è senza via d’uscita, con il mare davanti, il faraone + esercito che lo incalza dietro; il deserto, luogo di serpenti velenosi ai lati v.10.

Si noti nel testo l’insistenza su alcuni termini e espressioni che suonano come un ritornello martellante e manifestano il pericolo di distruzione totale, rappresentato dall’Egitto e dal dispiegamento di tutta la sua potenza minacciosa e distruttiva vv.6-7 9.17-18.23.

Israele incalzato, braccato e messo alle strette ha paura e grida al Signore. Si tratta di un grido di protesta contro Mosè e in qualche modo anche contro Dio, il quale ha diretto e provocato la situazione in cui il popolo si trova per colpa di Mosè. Israele cerca un appiglio per uscire dalla paura della morte che lo attanaglia.

Nei vv.11-12 troviamo una interessante descrizione del fenomeno della paura, con le alterazioni psicologiche che si producono nell’uomo quando è spaventato. Si ha una alterazione della nostra percezione della realtà, un’incapacità del discernimento del reale da parte della coscienza, che non sa più distinguere e valutare dove si trova il vero pericolo, al punto che si può giungere persino a chiamare nemico l’amico… E’ ciò che fa Israele circondato dal pericolo dimentica Dio e forse implicitamente lo accusa non solo di non averlo liberato, ma di averlo fatto uscire dall’Egitto per farlo morire nel deserto.

In preda all’istinto di sopravvivenza generato dalla paura, anche il salvatore può assumere per me la fisionomia distorta di un aguzzino che voglia uccidermi, mentre il nemico mi può apparire improvvisamente come l’unica ancora di salvezza. La paura getta in una menzogna da cui si è assolutamente incapaci di uscire da soli . Vediamo il testo da vicino 11-12

M. Buber ha osservato che questi due versetti constano di 7 frasi 5 delle quali terminano con la parola Egitto – Egiziani e 2 con la parola deserto. cfr antitesi: Egitto – Deserto come un’ alternativa davanti alla quale Israele sente di essere posto: la vita da schiavi in Egitto sembra loro migliore della morte nel deserto.

E’ vero che l’accusa qui non è rivolta direttamente contro Dio, ma contro Mosè. Israele sa, però, che dietro Mosè il motore di tutta l’azione è Dio, il quale facendogli uscire dall’Egitto ha promesso salvezza e libertà. Nm. 14,1-4; Dt. 1,26. Israele, schiavo della paura, paralizzato davanti al pericolo comincia a provare nostalgia del nemico, e la sua coscienza è così alterata e confusa che giunge persino a preferire la schiavitù dell’Egitto alla libertà del deserto. Sente nostalgia del paese della schiavitù, pieno di sepolcri e di morte, che pure ora gli appare come un luogo di libertà in cui preferirebbe tornare. Ricolto al passato, sia pure caotico e confuso, ma che almeno conosce si chiude al futuro ignoto del deserto e della libertà. Si noti alla duplice ripetizione della parola deserto, l’insistenza sui termini Egitto-Egiziani, come un incubo ossessionante, che invade tutto il campo della coscienza.

A questo punto la parola di Mosè, che segue, è decisiva per ricondurre la coscienza del popolo alla verità v.12…tacere o astenersi dall’intervenire=attesa non passività.

La paura è il nemico più pericoloso in quel momento, Mosè interviene sulla paura: “Non temete”

che ridona la capacità di avere fiducia in Dio. Ci si deve aprire alla fiducia/speranza per permettere a Dio di combattere per noi e operare l’impossibile. Quando la paura cessa, Israele può trovare la propria identità rimanendo fermo in attesa silenziosa mentre Dio combatte per lui. Aprendosi alla fiducia, il popolo ricorda che Dio è più grande e combatte contro tutti i nemici potentissimi che sembrano schiacciarlo. Israele, forte della fiducia, può vedere la salvezza che il Signore opera per lui perché quando riaprirà gli occhi non vedrà più gli egiziani giacenti sulla riva del mare vv. 30-31. Il verbo vedere adoperato tre volte nel v. 13 e due volte fine vv. 30-31 che sono in parallelo con 13=il vero problema per gli israeliti è di diventare capaci di vedere, saper discernere la verità. Mosè con le sue parole intende distogliere il loro sguardo dagli egiziani che li ossessionano 10-12 per rivolgerlo al Signore che li vede e li salva dall’alto.

“Giungere a vedere colui che già ci vede” Gn. 16,13-14 (Agar)è lo scopo di tutto il pellegrinaggio biblico Sal. 84,8. Il Re deve prendere coscienza di un orizzonte più ampio e più vero, che gli viene aperto davanti dalla presenza di YHWH che lo avvolge (il Nome ricorre qui 2 volte nella bocca di Mosè.

Le parole di Mosè non significano però che nelle situazioni terrificanti Dio viene a metterci una mano sulla spalla…: “Coraggio, ora vengo io…”. Dio ci salva facendoci passare per la morte. Così si chiude il primo atto del dramma nel momento di massima paura per il popolo e con l’invito di Mosè di aprirsi alla fiducia in Dio il quale opererà l’impossibile.

Si deve notare qui che paradossalmente, anche la paura di Israele è stata voluta e controllata da Dio perché Israele sperimenti fino in fondo la sua debolezza, precarietà, incapacità di salvarsi con le proprie mani.

Nel massimo della fragilità Israele, in fondo, si trova nella condizione privilegiata per aprirsi alla salvezza si un Altro l’Unico che possa cambiare di segno l’angoscia più cupa. La paura voluta dal Signore, che ci insegna ad affidarci solo a Lui, anche quando siamo precipitati nell’abisso tenebroso.

18.2.99

Secondo atto VV. 15-25

Il secondo atto comincia con un nuovo ordine dato da Dio a Mosè perché Israele riprenda il cammino. Qui il paradosso è portato fino all’estremo. Israele è condotto a sperimentare l paura più angosciosa: deve passare per il mare con tutto ciò che questo significa 15-16.

Il passato avviene di notte in silenzio. Dio fa percepire la Sua presenza in una colonna di nube. Il Signore c’è, ma è velato dalla nube. Nel v.20b il testo ebraico masoretico letteralmente va tradotto così:

“Ci fu la nube e l’oscurità ed essa rischiarò la notte”.

La notte è qui stranamente illuminata dall’oscurità, cioè dalla nube. Simbolo di sofferenza, terrore e morte, la notte è illuminata da “un’altra notte”, la quale è però quella della nube che cela la presenza del Signore. Quindi la notte, pur tenebrosa, piena di forze oscure e mortali, può diventare l luogo della salvifica presenza di Dio per chi ha occhi per vedere.

La notte è illuminata dalla nube e gli israeliti sentono è presente li per loro Sal 139,11-12.

A un certo punto la nube passa alla retroguardia, sì da illuminare gli israeliti e da oscurare gli egiziani. Per gli israeliti è la luce, per gli egiziani è la notte. La nube è la stessa tra gli uni egli altri, ma i primi sanno percepire che nella nube Dio è presente, e per questo per essi è luce; i nemici invece, che non sanno penetrare oltre le apparenze, percepiscono solo la notte.

Ormai Israele che ci vede, non può più tornare indietro e non sono più possibili ripiegamenti nostalgici: il passato di schiavitù è finito per sempre Dio non permette che il suo popolo torni indietro, perché ha frapposto la sua stessa presenza (Shekhinah) tra lui e l’Egitto. In qualche modo Dio fa da sudi e da schermo a Israele con il suo corpo, e non consente al nemico di toccarlo e di fargli del male anche se i due sono tanto vicini Sal 23,4-5. Prima di colpire Israele, infatti, l’Egitto dovrebbe attraversare e uccidere il corpo stesso del Signore! vv. 21-22.

Israele avanza affrontando il massimo rischio perché davanti c’è il mare che inghiottisce (Cfr, densa concentrazione-mare-acque). Dio però opera salvezza anche nel Regno della morte perché tutto è nelle Sue mani e di tutto si seve per salvare. Il Signore solo sa sversi del vento (ruach) per rendere il mare terra asciutta, la morte vita. Ma si deve avere il coraggio di entrare nel mare, nell’acqua, nella morte, rischiando tutto, fidandosi completamente di lui.

Terzo atto vv. 26-31/26-27.

L’azione di Mosè è il momento decisivo in cui le acqua ritornano al loro livello consueto, travolgendo gli egiziani, carri, cavalieri.

Mentre gli israeliti sono giunto alla fine del percorso sulla sponda della salvezza, gli egiziani, fuggendo, sembrano andare spontaneamente a sfracellarsi contro le acque.

Bisogna rivelare qui un aspetto importante di questo teso, che ci permette di capire che cosa voglia dire la bibbia quando afferma che Dio combatte contro qualcuno che gli si oppone, schierandosi in battaglia con il suo popolo.

Nel testo Es. 14 cis non sufficienti indicazioni per affermare che, in realtà, se un combattimento c’è stato, questo non è stato combattuto né a Dio né da Israele, ma i nemici dell’uno, e quindi anche dell’alto, si sono affrontati distruggendosi tra di loro. Le acque vennero qui quasi personificate e divennero un soggetto che pende l’iniziativa di travolgere gli egiziani v. 28.

Poco prima ci era stato detto che gli egiziani, fuggendo, si dirigevano contro il mare: sono andati essi stessi a buttarglisi fra le braccia per farsi travolgere.

Per poter capire più adeguatamente questo modo di proporre l’evento, occorre soffermarsi a considerare chi siano i nemici nella Bibbia, che cosa voglia dire essere nemico e, più concretamente, chi sino i” nemici di Israele”, dal momento che nella Bibbia non si fanno mai discorsi astratti ma sempre concernenti l relazione di Dio con il suo popolo. Bisognerebbe considerare la strategia con cui il Signore disattiva il male solo per accenni.

Da una lettura attenta dei testi risulta che, spessissimo, nella Bibbia i nemici di Israele sono i nemici di Dio e viceversa. Poiché Israele è il popolo di Dio, il perno e il sacramento della strategia di salvezza universale dell’umanità escogitata dal Signore. L’appartenenza a YHWH lo costituisce nella sua identità profonda. Coloro che attentano alla vita dell’eletto del Signore, in qualche modo, esplicitamente o implicitamente, intendono attentare al disegno e alla vita stessa di Dio. I nemici poi sono gli empi e i peccatori, i quali si fanno principio di sé, vivendo nell’ autosufficienza e non si lasciano salvare d Dio. Il signore allora fa verità e rivela la situazione di menzogna in cui vivono. Una volta poi che il male è manifestato come tale, non può reggersi, perché non ha consistenza in se stesso: è vanità delle vanità che davanti alla consistenza di Dio svanisce in meno di un istante. Il potenziale di negatività ce contiene rivelato allo sguardo del Signore, alla fine è potente solo per distruggere se stesso. I nemici di Dio si autodistruggono o si distruggono tra loro a motivo dell’inevitabile autoannientamento a cui il male è destinato.1Pt 2,7-8.

Così nel nostro testo, il mare – nemico di Dio e di Israele perché arrogante simbolo della morte- annienta l’altro nemico del Signore e di Israele = l’Egitto v.29. Mentre il nemico sparisce nell’ abisso, Israele è passato in mezzo alla morte del mare ed è salvo. Non solo le acque non gli hanno fatto alcun male, ma lo hanno persino aiutato nel cammino: le 2 muraglie, oltre avere funzione di protezione, sembrano segnare una direzione, tracciando una via per cui passare. Le acque vinte e annientate nel loro potenziale cattivo e evocatore di morte, sono state restituite alla loro verità di creature: per questo aprono le braccia, accoglienti e sollecite per lasciar passare il popolo di Dio che, ubbidendo alla parola del Signore, ha rischiato tutto, accettando persino di morire.

Israele è passato di notte, in silenzio v.14 “voi attendete in silenzio” avvolto in un’atmosfera di mistero. Guidato da qc di tenebroso, che però faceva luce: lontano dagli sguardi (visto solo dal Signore), nel segreto. E’ passato come in un sogno… come quando il Signore ricondusse i prigionieri da Sion. Il male si distrugge da solo cfr Gs 6. Le mura di Gerico non crollano per azione bellica – giro una volta per 6 giorni + 7 volte il 7. giorno+ sacerdoti/trombe. La città nemica si autodistrugge davanti al popolo di Dio che appare per fare la verità cfr Gedeone 6-7 + 2 Cr 20.

Alla fine si trova libero e salvo perché ha saputo aprirsi alla fiducia obbedendo alla parola di Mosè: “Non temere!” che lo poneva davanti alla manifestazione terribile e grandiosa di YHWH e non ha avuto paura di morire. Ha rischiato tutto nel pericolo abbandonandosi nelle mani di un Altro, che, mentre lo accompagnava con la nube, lo illuminava con il suo sguardo dall’alto. Così ha attraversato il mare e l paura si è trasformata in timore del Signore e canto di lode v.31.

In ebraico i verbi “ebbero paura v.10 e “temette” v.11 sono espressi x stessa radice che indica normalmente timore – paura. Quando però questo verbo ha per oggetto Dio, significa il timore reverenziale e umile di chi trovandosi davanti alla maestà del Signore confida in lui con tutto il cuore. L’uso della stessa radice in due momenti cruciali dell’evento manifesta bene la trasformazione avvenuta nel cuore degli Israeliti. Mediante l’intervento di Dio la paura si è trasformata in timore del Signore, fede, canto e lode. Allora Israele canta Es 15,1.

Il canto che segue è il traboccare nella lode del timore + fede nel Signore, che esplode nel cuore di Israele salvato. La lode è la manifestazione adeguata della confessione di fede nel Signore che lo ha salvato dal terrore della morte. Si noti nel vv.30 31 l’insistenza sul nome del Signore. In ebraico il tetragramma YHWH viene ripetuto 4 volte. Questo manifesta il pieno recupero delle capacità di discernimento da parte della coscienza di Israele. Prima quando era terrorizzato era come ipnotizzato e ossessionato dall’ Egitto il nemico che lo (ossessionava) assediava 11-12 cumulo di Egitto-Egiziani. Ora che la paura è cessata si è trasformata in gioia prorompente a motivo dell’intervento del Signore. Israele ha davanti agli occhi e nel cuore solo il nome del Signore che lo fa esultare e lo riempie di canto e di gioia (lode): ritornello nei Salmi + Bibbia.

Nell’evento del passaggio del mare, Israele è diventato una comunità credente, salvata e nuova. Es 14 è il racconto che nelle generazioni storiche, fino a oggi, i bambini ebrei dovranno imparare a memoria. L’aspetto comunitario è importante. Si osservi che il canto Es 15 è elevato al Signore dal popolo intero, da Mosè prima e dai figli d’Israele poi v.1: alla fine è detto anche che Myriam, la profetessa, sorella dia Aronne, + tutte le donne d’Israele, prendono parte al canto, a cui aggiungono la dimensione esplicita della musica + danza vv.20-21. Tutto il popolo canta, uomini e donne, Mosè a braccetto con Myriam, i figli d’ Israele a braccetto con le figlie. Questo non è irrilevante. Tutto il testo a partire dal cap. 14 è costruito in modo tale che giunga nel cap. 15 a risolvere anche una solitudine: quella di Mosè che conduce l’azione solo con Dio. In Es 14 tutto è condotto da Adonai YHWH+ Mosè, mente il popolo segue, volente o nolente, in apparenza …tendo ciò che accade. Non vi pone l’essere e il cuore , sembra non cederci ancora veramente. Solo il Es 14,30-31 dopo che Dio ha operato l’impossibile e ha aperto il cuore, l’atteggiamento del popolo cambia in rapporto a Dio e Mosè : v.31

Nel canto di Es 15 , accanto a Mosè, tutto Israele diventa soggetto traboccante di giraloghe.

Siamo invitati a considerare questa dimensione comunitaria di fede nella lode, nell’esultanza e nel rendimento di grazie al Signore che per noi ha fatto prodigi. Al popolo terrorizzato Mosè aveva risposto 14,13-14 “…per voi”. Nessuno di noi può accaparrarsi la salvezza per sé solo: il cuore del Signore non ha pace finchè tutti i suoi figli non vivano in comunione di gioia piena. La lode è veramente gradita a Dio quando è elevata da tutti insieme.

25.2.99

Questo aspetto è importantissimo ancor oggi nella tradizione ebraica. E’ bello in Israele assistere a danze folkloristiche in cui ciò che colpisce è proprio lo spiccato senso comunitario dell’essere insieme, accordati sul medesimo suono per lodare il signore.

Pensiamo alle volte in cui siamo usciti a mano alzata, come chi sa dove vuole andare, e ci sentiamo sicuri della protezione di Dio che ci accompagna. Poi però quando ci piomba addosso il male e il faraone ci è dietro, tutto crolla, insieme alle immagini facili e sicure che ci eravamo fatti di Dio. Le braccia alzate cadono nello sconforto più nero, in un’esperienza di nudità estrema di precarietà e impotenza che ci fa morire di paura. Tutto questo è voluto dal Signore. Quando ci sentiamo completamente soli e indifesi siamo nella situazione privilegiata per conoscere chi è veramente Dio, per capire che egli non sta nelle nostre mani, ma noi siamo nelle sue. E ci affidiamo in un atto di abbandono totale a tutto ciò che egli vorrà fare di noi. Nel canto Israele non parla più di se stesso, sparisce la sua soggettività, l’unica realtà oggettiva di cui ha percezione è il Signore.

E’ cosa ben diversa da quel che leggevamo in Es 14,10-12, dove il popolo era paralizzato al pensiero di dover morire. Ora non è più preoccupato per la propria vita perché ha visto che la vera vita è stare con il Signore. E ha capito che, paradossalmente, sono proprio la sofferenza e la morte quelle che ci fanno vivere, perché ci consegnano totalmente a lui e a lui ci rendono più vicini e simili.

Questa vicenda rivela il senso pieno nella passione e morte del Signore Gesù. Il Figlio di Dio perseguitato ha vissuto la sua passione in una solitudine profonda portando nel cuore pure un senso di fallimento completo. Ha sperimentato la nudità totale, ma è andato avanti fino a morire in croce, fino a entrare nella notte della morte e discendere nelle acque dell’ abisso tenebroso degli inferi. Sull’altra sponda, però, tra le muraglie dell’acqua che gli indicavano il cammino da percorrere, ha incontrato il Padre che lo attendeva a braccia aperte e si è abbandonato a questo abbraccio che lo avrebbe fatto vivere per sempre Lc 23,46.

E’ questa l’ultima Pasqua, il Passaggio del signore Es 12,11 che ha vinto l’ultima e più vera paura dell’uomo: l morte. Il Padre e il Figlio sono ancora e per sempre abbracciati nello spirito e ci invitano ad entrare nella loro comunione d’amore. Ap 7,14-17 Le acque oscure e mortali per cui i martiri sono passati sono il sangue di Cristo, acque diventate per essi mezzi per arrivare “alle fonti dell’acqua della vita”. Così il Signore ha fatto cessare lo scorrere delle lacrime dai loro occhi. Si noti l’importanza data all’acqua da questi testi, compresa la menzione delle lacrime. E’ simbolo privilegiato per rappresentare la salvezza operata per noi x il Battesimo 1Pt 3,19-22. Nel dolore, nell’acqua tenebrosa della morte, il Padre F e S.S sono presenti paradossalmente e misteriosamente per indicarci il cammino che ci salva.

Davanti a tanta bontà e gratuità, i nostri motivi di esultanza sono infiniti. Questi sono le grandi cose fatte dal Signore che, dopo Myriam, sorella di Mosè, fanno esultare di gioia un’altra Myriam, la Madre di Gesù Lc 1,49-52