Fede di Gesù
La fede di Gesù … in Gesù
Chalom Leu Chorim? – + Card. Etchegaray: “incisiva espressione” Autunno 1997 = ebraicità non puro fatto contingente
componente fondamentale per comprendere persona e missione di Gesù.cfr Shemà Israel = proclamazione che il Signore fa al suo popolo a) unicità b) amore da manifestare nei sui confronti. Primo brano di “Ascolta Israele” = punto comune fra ebrei e cristiani di grandissima profondità Mc 12,28-34 + non dimenticare che nella versione liturgica comè prima di pleta i brani contenuti nello Shema Dt 6,4-9; 11,13-21; Nm 15,37-21 impegnano i figli di Israele all’accoglimento del “giogo precetti” e quindi a un’osservanza integrale delle mitzvot che non riguarda certo il credente di origine gentilica.
Tutto lascia credeere che Gesù lo accettasse in questo senso la sua fede fa parte della cristologia. La fede di è prima di tutto qulla espressa dallo Shemà.
Proprio la rilevanza cristologica indica la formula (direi?) poco profonda.
E’ proprio la fede in Gesù a costituire il punto di accesso alla fede di Gesù.
In altre parole egli viene a conoscere Israele innanzitutto perché gli è stato annunziato Gesù Cristo e non viveversa. Cfr Gal 3,29 si diventi discendenti di Abramo + eredi secondo le promesse di Dio = si ha parte alla fede di Israele in quanto si è in Cristo. La fede di Gesù = suo essere inserito vita ebraica, suo affidarsi promesse di Dio = punto di convergenza ebrei/cristiani(gentili).
Ma questa componente unitaria appare interna alla stessa divisione costituita dalla fede in Gesù e non antecedente ad essa.
La nostra “incisiva espressione” riscritta così: Entro la fede in Gesù che ci divide vi è la fede di Gesù che ci unisce. Anche se più rigorosa esaurirebbe solo nel caso in cui il Cristianesimo si presentasse di fatto/diritto come una realtà esclusivamente gentilica.
Ma non così: gli scritti NT non conoscono ancora alcuna contrapposizione semplicemente binaria tra ebrei/cristiani. Orizzonte più variegato in 4:
- Stragrande maggioranza ebrei non avevano fede in Gesù
- Ebrei credenti in Gesù
- Piccoli gruppi gentili credenti
- Totalità connazionali non credenti in Gesù
= la Chiesa nacque come un insieme di comunità intrinsecamente costituita da ebrei/gentili. Essa si dovette pensare obbligatoriamente come una realtà incapace di ricondurre tutti entro il proprio abbraccio.
Allora la fede in Gesù si proponeva in prima istanza come segno di contraddizione in Israele Lc 2,34-35.
L’ebreo Paolo che considerava la maggioranza ebrei nemici in quanto al Vangelo, li considerava al contempo fratelli in quanto a elezione = beneficiari una chiamata di Dio non soggetta a pentimento Rm 11,27-28, né mai pensò di considerare transitoria la loro peculiarità cfr verbi sempre al presente: sono, possiedono.
Ulteriore trascrizi di (Chorni?): “All’interno fede in Gesù che divide Israele, continua a sussistere la fede di Gesù che ci unisce.”
Naturalmente è incontestabile che, guardando all’oggi, la frase resta valida: attaulmente il più delle volte la fede in Gesù è assunta dagli uni e dagli altri come elemento di differenziazione se non di divisione. Tuttavia, tenuto conto che il pensare a Gesù ebreo conduce, pressochè inevitabilmente, a considerare la radice ebraica del cristianesimo – occorrerà da entrambe le parti ripensare all’esistenza di uno spazio comune differente da quello connotato dalla pura fede di Gesù.
In altre parole bisognerà riesaminare quell’area che con tardo e inadeguato termine composto si è soliti chiamare giudeo.cristianesimo.
Una delle accezioni di questa polimorfica parola sta nel riferirsi al modello costituito per i credenti in Cristo dalla “Chiesa Madre” di Gerusalemme. Questo riferimento originario ribadisce il legame che i gentili venuti alla fede devono mantenere con gli ebrei credenti in Cristo che furono il primo anello della trasmissione fede. In breve si tratta di conservare un posto per così dire paradigmatico alla comunità formatasi nel giorno di Pentecoste attorno al Cenacolo. Fu infatti per la mediazione degli ebrei credenti in Gesù che i figli delle genti poterono partecipare “spiritualmente” alla santità del popolo di Israele 1Pt 2,9; Es 15,6 e quindi alla fede di Gesù.
In Rm un simile fatto trova riscontro particolarmente efficacie nella motivazione adottata da Paolo per giustificare l’offerta a favore dei poveri (?) Gerus. Il tema della colletta è frequente nell’epi. Paolino compare già nella pattuizione fra Paolo e le “Colonne” (Gc -Cefa Gv) cfr (Gc?) 2,9-10: qualche esegeta ne ha sottolineato l’importanza, interpretandola alla luce biblica offerta delle genti a Gerusalemme alla fine dei tempi Is 60,5-6; Rm 15,16. In ogni caso il tema dell’offerta pur essendo trattato più ampiamente altrove 2Cor 8-9 trova, per più versi, il proprio culmine allorchè si afferma che i gentili credenti sono debitori verso i poveri della comunità di Gerusalemme, in quanto avendo “partecipato ai loro beni spirituali” devono rendere un “servizio sacro” nelle loro necessità carnali Rm 15,27. I figlii delle genti venuti alla fede partecipano a pieno titolo alle ricchezze “spirituali” di Israele proprio nel momento in cui onorano la particolarità immutabile dell’appartenenza ebraica (= significato della parola carnale). Tutto ciò si confà con un modello che prevede all’interno comunità miste un ricordo da parte di tutti i credenti del primato concesso alle promesse fatte da Dio a Israele: “Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo accolse voi per la gloria di Dio” Rm 15,7-9. Rispetto a Israele i termini chiave sono “promessa e fedeltà”. Rispetto alle genti il termine chiave è “misericordia” = pura gratuità mentre nei confronti dei figli di Israele sussiste sempre il vincolo di alleanza e giuramento fatto ai padri Rm 11,29.
Davanti a simili considerazioni relative alle “origini cristiane” il problema è di sapere come oggi, dopo moltissimi secoli di ostilità, quando si ritorna a considerare anche quello che unisce, e non solo quanto divide, si possa pensare alla categoria “giudeocristiana” = in che modo si debba parlare di un “mistero” di comunione e non solo di frattura anche quando si fa appello alla “fede in Gesù”. Non mancano piccoli gruppi che puntano su una riproposizione letterale dell’antico modello giudeo/cristiano, ma appare chiaro che la portata del discorso va estesa al di là di qualche esperienza specifica.
Il fatto che per aver pienamente fede in Cristo bisogna credere che accanto alla Chiesa cristiana continui a sussistere un popolo di Israele contraddistinto da doni e da una chiamata non soggetta a pentimento Rm 11,29 non comporta forse di necessità qc di diverso dall’esistenza di 2 vie semplicemente parallele l’una delle quali riservata al popolo ebraico e l’altra ai credenti in Cristo?
Assunta in questa luce la categoria “giudei/cristiani” stabilisce l’impossibilità di affermare he la “fede di Gesù” rappresenti semplicemente il popolo ebraico e la “fede in Gesù” quello cristiano: i 2 ambiti sono troppo interconnessi per non rimandarsi reciprocamente.
Quest’ultima affermazione non ha niente a che vedere con quei “giudaizzandi” = gentili con obbligo di osservare .. Torah = per essere cristiani diventare ebrei?! Così facendo indulge a una incitazione del comportamento ebraico tendenzialmente incapace di riconoscere lo “specifico” del popolo di Israele. Il fatto che i figli delle genti partecipino per Cristo all’eredità delle promesse se non solo non intacca, ma addirittura esige di considerare non imitabile la particolare concezione ebraica. L’imitatio Cristi compiuta per il riferimento alla fede di Gesù ebreo va tutelata attuando lo scarto della differenza. Gesù nato sotto la legge Gal 4,4 fu circonciso l’ottavo giorno Lc 2,21: questa appartenenza segnava per lui l’accettazione piena del “giogo della Tor,ah” Ga 5,3; il credente di origine gentilica, per amore tanto di Israele quanto di Gesù ebreo, deve però astenersi dal percorrere integralmente questa via. Solo per questa apparente rinuncia la sua fede in Gesù lo porterà fedelmente a camminare pure lungo la via indicatagli dalla fede di Gesù.