Forse

Prof. VIII sec e VII = grandi classici da Amos a Ger (escluso Is) non semnìbrano essere in grande sintonia con lo spirito non parlano granchè della ruach. Questo è un fatto che pone qualche domanda, qualche spiegazione.

Am = prof “scrittore” = dal I# profeta di cui ci siano tramandati gli oracoli, parla una sola volta di ruach sembra solo vento 4,13. Ma è il primo testo in cui si affermi l’origine divina dello “Spirito” creato da Dio (sarà sempre teologico). E’ proprio sicuro che qui la ruach non indichi altro che il vento? Il parallelo antropologico ci orienta verso l’interiorità.

Colui che “annuncia all’uomo qual’è il suo pensiero” o gli svela quello che ha in mente, è lo stesso che ha creato lo “Spirito” cfr Paolo “Colui che scruta i cuori” sa anche quali sono i desideri dello Spirito Rm 8,27. Avendo egli creato lo Spirito dell’uomo, conosce bene quali sono le emozioni del suo cuore.

Quindi un’unica attestazione del termine ruach in Am è tutt’altro che banale e la rarità del termine potrebbe non pregiudicarne l’importanza del tema. Ma il vero enigma di Am è un altro e cioè che lui, il primo a essere ritenuto un profeta classico in AT sembra rifiutare la qualifica di profeta almeno nel senso inteso prima di lui.

Cfr alterco con sacerdote di Betel 7,10 . Accusa politica di alto tradimento: “congiurare” = tramare uccidere il Re 1RE 15,27.

Ne’ si può dire che i “figli dei profeti” fossero estranei a congiure del genere: cfr ruolo di eliseo nella deposizione dell’ultimo degli Omridi 2Re 9.

In questo sfondo prende tutto il suo rilievo il diniego di Am: “Non sono profeta io” subito a scanso di equivoci e neppure un figlio di prof = pagato per profetizzare = non professionista .. “Figli prof” 1Re 20,35: 2Re 2 = Am = netta demarcazione dal profetismo precedente = comparazioni profetiche = sostanziale riserva di Am verso il prof della ruach, e spiegare la relativa assenza del termine. Os + Mi Os 2,7 “seminare vento …” o “pascersi di vento” Os 12,2 = fenomeno atmosferico = precarietà. Os 27 parla di sé o di qn altro? 9,8 oscuro → più plausibile che parli di un profetismo diverso dal suo = netta demarcazione del prof della ruach.

Mi documentazione più ricca, non sempre facile da leggere perché nel suo discorso si fa sentire la voce di altri prof che noi troppo facilmente diciamo falsi. 2,11 = questa prof è inautentica perché procura ebbrezza 1Re 22,22-23 “spirito di menzogna”. Ruach = elemento inafferrabile spirito di menzogna 2,6-7 … Si è forse accorciata la ruach del Signore?

Che significa ruach accorciato? – soffio corto = impazienza

Dio non avrebbe perso la pazienza – sinonimo di mano = braccio corto = impotenza (?)=

I falsi profeti non dicono sciocchezze ma cose giuste nel momento sbagliato. Ma che dice Mi ai suoi interlocutori che confidano incondizionatamente nello spirito? Le mie parole risponde, si fanno male, ma non fanno male a tutti. Fanno male solo a chi si comporta iniquamente. Per coloro che camminano nella rettitudine sono salutari.

Sicchè è vero che lo spirito del signore non è mai torppo corto: è sempre in grado di intervenire, soccorrere … ma la fiducia nello Spirito non può diventare un alibi che esima dall’osservanza della parola di Dio, dal praticare la giustizia, camminare con rettitudine. Introduce nel discorso prof una variante tutta umana che corrisponde all’avverbio ulay = forse . Non si può troppo facilmente dire: certo saremo salvati, come affermano i prof di pace. Si deve dire: forse lo saremo. Non tutto dipende da Dio: qualche cosa dipende anche da noi.

I tre profeti ricordati sopra: Am, Os, Mi presentano tutti chi più chi meno elementi crititci di distinzione dall’esperienza dei profeti che li hanno preceduti. All’origine di questa distinzione, tanto psicologica quanto spirituale, si pone anche un fattore sociologico che occorre cercare di afferrare. Tra IX e VIII secolo si produce grande affermazione storica e politica. Il profeta è sempre messaggero di Dio un mal’akh = angelo. Quella con la quale si presenta: “Così dice il Signore” è formula del messaggero, di chi riferisce una parola altrui (anche?) deve averla fatta propria, e può parlare in prima persona.

Ora il messaggero è figura intermedia tra il sovrano e il suo vassallo. Nel periodo preclassico il profeta è l’intermediario tra Dio-Re e l’attuale regnante di Giuda/Israele. Schema

Sovrano Messaggero Vassallo (compagni Re)

In caso di insubordinazione o ribellione solo il re vassallo viene punito o eliminato per questo il profeta si rivolge a lui solo in perfetta armonia prassi politica del tempo. Siccome Samuele-Elia-Eliseo si indirizzano ai re, arrivano perfino a deporli, ma non si rivolgono direttamente al popolo, non un messaggio per la nazione, ragione per cui si ricordano le loro gesta ma non si conservano le loro parole.

Nell’VIII secolo innovazione assira di non deporre solo i vassalli ma di deportare l’intera popolazione lo schema profetico cambia

Sovrano Messaggero Popolo.

In altre parole, cambia il destinatario dell’annunzio prof. Un buon esempio del mutamento intercorso è il discorso del generale assiro che preferisce parlare ebraico piuttosto che aramaico per farsi sentire non solo dai dignitari di Gerusalemme ma da tutto il popolo assediato 2Re 18,17 ss. Perciò anche i profeti VIII sec si rivolgono al popolo nonp iù solo ai re e i loro oracoli vengono conservati in seno al popolo. Si crea una tradizione popolare e questa è ancghe la spiegazione più soddisfacente della diffusione delle loro parole e della loro messa per iscritto, ciò che non si è dato per i profeti precedenti che pure non erano meno grandi.

Questa novità ha un evidente riflesso psicologico poiché rivolgendosi al popolo i profeti dell’epoca egizia e poi babilonese sono indubbiamente molto vicini alla gente tanto più quanto la minaccia invasione + deportazione si fa incombente. Non è vero che essi annunziano la fine di Israele e poi basta.

Essi vedono il pericolo e fanno di tutto per ritardarlo o, se ancora è possibile, scongiurarlo. Coinvolti vicende popolo.

E così torniamo a quella particella grammaticale che A. Neher ritiene la più importante del linguaggio profetico “ulay”=forse. Am 5,15 “Forse” non è ancora tutto perduto. “Forse” conversione e salvezza sono ancora possibili. Il profeta deve fare tutto perché dui questo “forse” e per tenere sempre aperto questo spiraglio, per offrire al popolo ancora una chance. Per quanto la parola prof possa apparire esigente, severa, rimane sempre, nonostante tutto, aperta a una possibilità ancora inesplorata, a un futuro ancora possibile.

L’avverbio ulay ricorre + (?) nella Bibbia ebraica e molto frequente nei profeti cfr LXX – equivale al greco tache (?) quasi assente e ricorredue volte in Sap e e nel NT solo in Paolo = ogni volta che i traduttori hanno incontrato ulay l’hanno risolto con una consecutiva Am 5,15 “affinchè” il Signore abbia pietà = riduce effetto incognita veicolato dal termine ebraico.

Oltre a passo di Am cfr Is 37,4: Ger 21,2;26,3: Giona 1,6 e riflettere sulle esigue possibilità lasciate all’uomo dal “forse” profetico. Si tratta sempre di una “extrema ratio”, di una possibilità ultima e indimostrabile. Quando la nave sulla quale Giona si trova sta per sfasciarsi il capo gli si accosta e dice: Che hai … invoca … forse Dio … 1,6. Il forse è sempre questione di vita o di morte.

Pensiamo anche al presupposto di tutto il violento discorso di Ger contro il tempio: “Forse ascolteranno” 26,3. Qui all’incertezza conversione d’Israele corrisponde l’altissima improbabilità del pentimento di Dio: l’una e l’altra extrema ratio.

Detto altrimenti: nulla è garantito. Neppure chi nutrisse una fiducia più che ragionevole nella propria rettitudine può essere sicuro di avere la salvezza in tasca, d’essere indenne dall’ira di Dio Sof 2,3.

Il “forse” dei profeti sottintende ignoranza fondamentale equivalente a “chissà”? Un profeta non è indovino: anch’egli non sa. Pro-phetes non è chi pre-dice, ma chi pro-dice = chi parla in nome di un altro. Quello che è caratteristico prof ebraica non pre-cognizione futuro, ma profonda ri-cognizione del presente sotto lo sguardo di Dio Mt, 24,36..

Tuttavia, non è che non si sappia niente. Si sa, precisamente, quello che ci è richiesto oggi. Senza pretendere di poter calcolare gli esiti futuri delle nostre azioni, si tratta di compiere quello che ci è richiesto nel nostro presente. “Forse” vuol dunque dire anche questo: rinunciare a una certezza che non può non esigere verifiche future, e quindi è destinata a rimanere altamente improbabile. Attenersi al presente: essere capaci di rischiare avendo il coraggio delle proprie azioni, quale che ne sia il risultato, visibile solo l’indomani – A Neher

16.11.2000