Sapienza, fede e timore del Signore
Sapienza, fede e timore del Signore
Il primato di Giuseppe sembra consistere nel fatto che in lui, il pronipote di Abramo, la santità teologale del credente fa germogliare finalmente la santità morale del sapiente (chekham 41,33). Alla quarta generazione della famiglia di Dio la fede ottiene dei costumi (mores) che siano interamente proporzionati, beninteso entro orizzonti storico-culturali del tempo. La fede diventa sapienza e santità dell’uomo. Un nuovo tipo di “morale”, emerge, fondato non sull’interesse proprio procurato sull’astuzia e furbizia, ma integrato con fede diventa ormai principio di nuova sapienza umana. L’etica biblica nasce dalla fede che nella storia di Giuseppe si presenta specialmente come timore di Dio 42,18. E’ questo il vertice del dono messianico dello “Spirito del Signore” Is 11,2d . Una tale etica è più di un comportamento secondo ragione o secondo natura. Per la Bibbia, la sapienza non è semplicemente il frutto dell’uomo che fa funzionare la sua testa ed è coerente con la propria coscienza: non è il risultato di un esercizio filosofico. E’ una certa partecipazione del popolo di Dio – per grazia – alla santità e all’intelligenza del suo Signore Lv19,2 … E’ un dono divino interiore all’ uomo ma che discende in lui dall’ alto per la fede e ne permea interamente la psich , pacificandola armonicamente facendosi sorgente di spontaneità mitezza e” naturalezza” nuove Gc 1,16-18;3,3-18. Per il “sapiente” la parola del Signore non risuona più quale “altra”e sconvolgente come per Abramo “Vattene…” “Prendi tuo figlio ……”, ma ordinariamente ,zampilla dolcemente in lui come aquadi una vena sorgiva.
La sapienza come timore del Signore viene esaltata solennemente nella terza sezione della Bibbia Sir1-2. Anche il salmo 105 tra le meraviglie compiute dal Signore e i prodigi della sua bocca nella storia della stirpe di Abramo + Giacobbe 5-10 …….. Giuseppe come campione di sapienza 105,16-24.
La stessa sapienza che aveva assistito, liberato, ammaestrato il padre, non abbandona, e anzi esalta il figlio in eterno. Di qui succinta la biografia 10,9.13-succ.
La storia di Giuseppe si distingue per la sua laicità e secolarità. Il timore di Dio accompagna l’ intera esistenza del protagonista, non conta su alcun intervento o manifestazione divina straordinaria, ma presiede a un’ interiorizzazione sincera della fedele nell’ esistenza del credente. Lo straordinario, il miracolo di questa storia nella sua ordinarietà, che, a differenza di ciò che avviene nella storia dei patriarchi è tutta secolare. Tutta l’esistenza del credente diventa un prodigio, senza che nulla di prodigioso avvenga dal punto di vista esteriore. Dio parla spesso ad Abramo, un poco meno a Isacco e a Giacobbe, non parla mai a Giuseppe, ma nella storia di lui è talmente sempre presente, senza flash teofanici, l’ ultimo raggiunge a Bersabea Giacobbe, che discende verso l’ Egitto 46,2-4 , che tutto sembra svolgersi come se Dio non ci fosse.Cfr (…………)
Solo alla fine -come per l’intera umanità avverrà nel giorno escatologico del F. dell’uomo Mt 25- a tutti apparirà chiaro che egli c’era e non come spettatore inattivo: era anzi il più attivo di tutti. Lo dice Giuseppe alla fine del libro piangendo 50,17 in un discorso ai fratelli- in cui si condensa pure tutta la sapienza e il dialogo di Israele con le nazioni; e si profetizza pure la rivelazione finale di Cristo a tutti gli uomini= la sua apocalisse! Pt 1,7 + Gn50,19-21 che riprende le parole di Giuseppe prima di farsi riconoscere 45,3-13.
Anche queste parole, come le ultime riportate sopra, sono inquadrate da un pianto dirotto di Giuseppe 45,2.14-15.
I due discorsi forniscono chiave teologico sapienziale dell’intera vicenda. Dio è onnipresente nella storia degli uomini non però come un deus ex machina al servizio dell’uomo, ma secondo dei tempi/modi esclusivamente suoi, così che nessuno può mettersi al suo posto, prevedere la sua guida degli avvenimenti, o “utilizzare” la sua provvidenza e ”servirsene” per i propri fini. Dio piò e sa fare quello che nessuna libertà creata può e sa fare= raggiungere i suoi fini sia per la bontà sia per la malizia della libertà creata, senza forzare le prime, senza distruggere le seconde, ma rispettando entrambe. Nessuna specifica cooperazione umana gli è necessaria in particolare per dispiegare la sua provvidenza…
Così il Padre sarà misteriosamente capace di far servire alla salvezza del mondo il più grande peccato, la crocifissione del Figlio 1Cor 1, 18-21.
Il vero credente deve decidersi a contare ciecamente su Dio, in verità. Deve dire addio per sempre alla pseudo-sapienza del proverbio pagano “Aiutati che Dio ti aiuta”… è la sapienza di Sara e Abramo che fece nascere Ismaele con ciò che segue… D’altro canto il credente non deve “contare su Dio” in vista di raggiungere proprio questi scopi di “pace e sicurezza”, che si è profetizzato in precedenza 1Ts 5,1-3.
Figli della luce/giorno, svegli/sobri 1Ts5,4-6 come Giuseppe, noi dobbiamo “umiliarci sotto la potente mano di Dio perché ci esalti a tempo opportuno”, quando e come egli solo sa e vuole. Operiamo attivamente, diligentemente, alacremente, nella fede/speranza/carità. Tutta la giustizia di cui siamo capaci, nel momento /luogo in cui il Signore ci fa vivere, gettando in lui ogni disegno di provvidenza globale e di realizzare in noi stessi di cui egli solo è l’autore e ha cura, mentre noi ne siamo totalmente all’oscuro 1Pt5,6-8. Non si tratta del meschino gioco psicologico – che potrebbe condurci fino all’empietà machiavellica – di “agire come se tutto dipendesse solo da noi”. Si tratta, al contrario, di rimanere ben consapevoli della sfera modestissima del nostro intendere e agire, inscrivendola mediante la fede nella grande e misteriosa economia di grazia che solo Dio gestisce, e della quale quel che noi conosciamo è infinitamente meno di quello che da ogni parte ci supera.
Il Signore è con Giuseppe e gli fa talmente riuscire tutto ciò che intraprende 39,2-6, da non risparmiargli anni di ingiusta e dimenticata prigionia nel carcere sotterraneo egiziano 39,21.23; 40,15.23; 41,1.14, pur conciliandogli in quel luogo la benevolenza di guardie e prigionieri 39,20-23. La sapienza “scese con lui nella prigione e non lo abbandonò mentre era in catene” Sap10,14 cfr Gn46,4. Nel sapere e nel ricordare in pratica che è sempre così – che l’essere- di -Dio- con- noi non ci risparmia né d’essere venduti né di venir ingiustamente imprigionati, ma di essere preservati dal peccato Sap10,13: il questo la sapienza e il “timore di Dio” di cui è ripieno Giuseppe 39,9…; il timore di Dio attraverso tutta la sua storia anche in altri personaggi 43,14.23; 44,16; 48,11…
Il primato dell’iniziativa e dell’elezione insindacabile di Dio nei confronti di Giuseppe precede e condiziona ogni contributo umano. Esso è annunciato e significato, fin dal principio dai sogni. In realtà si tratta di sogni-segni da parte di Dio di cui Giuseppe non appare cosciente come se si trattasse di rivelazioni particolari fatte lui solo. Solo alla fine della storia la verità di quei sogni si imporrà a tutti 42,6.9; 43,26.28; 50,18; Mt 28,9-10.17-20. Giuseppe li racconta ingenuamente, guadagnandosi l’odio invidioso dei fratelli e i rimproveri pensosi del padre il quale pure lo ama più di tutti i suoi figli37,4-11 Gli ha donato infatti “una tunica dalle lunghe maniche” 37,3.223.31 cfr il vestito come segno dell’identità di chi lo indossa 45,22; 1 Sam 18,3-4; Lc 15,22; Gv 19,23 Ap 1,13..e ordinariamente non manda Giuseppe a lavorare con i fratelli, ma lo tiene presso di sé 37,13-14 Giacobbe è liberamente responsabile di questa sua parziale (e ingiusta?) predilezione che mostra per il primo figlio datogli da Rachele. Dio da parte sua sa liberamente farla servire- senza giustificarla- alla elezione e assunzione dell’unico fratello, che ha preordinato in vista della salvezza di tutti. Allo stesso modo aveva fatto servire -senza giustificarla- la “ingiusta” predilezione materna di Rebecca per Giacobbe, per affermare la sua propria “giustizia” secondo cui “il maggiore sarà sottomesso al minore” 25,23; Rom 9,12.
Non sono assenti in Giuseppe (come più tardi in Salomone 1 Re 5,9-14) doti paranormali di chiaroveggenza 40,8-19 e anche qualche traccia di magia 44,5.15 ma tutto in lui è sottomesso alla dipendenza da Dio e ordinato alla fede e pietà 41,39. Come si esprime la letteratura maccabaica: “Giuseppe nell’ora dell’oppressione osservò il precetto e divenne signore dell’Egitto 1Mac2,53
I discorsi chiave sopracitati illustrano e rendono ragione come le 3 relazioni fondamentali – Dio-fratelli-creato – si integrino nella santità teologale e sapienziale di Giuseppe, paradigma di quella d’Israele e suo Messia Gesù. Profondo senso dell’indefettibilità di Dio timore=fede. Tenerissima pietà figliale e fraterna fino al perdono, gestione generosa del proprio primato fra i fratelli =carità; prudente e sapiente amministratore perché servano al fine per cui sono stati creati, far vivere un popolo numeroso =umanità e speranza.